Continua l’inserto che sarà dedicato all’uso dell’immagine cinematografica all’interno dei vari contesti urbani.
Un piccolo viaggio virtuale che tenterà di tracciare alcune linee di sociologia urbana utilizzando proprio l’immagine filmica come scandaglio per misurare il rapporto tra uomo e città in alcuni dei film più importanti del passato e del presente. All’origine di questo lavoro c’è lo studio del testo “L’immagine della città nel cinema” di S. Bisciglia (edito da Progedit, Bari, 2013) sul quale ho voluto provare a realizzare questo lavoro di “integrazione” virtuale.
Per avere il fascicolo completo mandate una e-mail a n.cargnoni@studenti.uniba.it
[continuazione] CAPITOLO 1 – I luoghi cinematografici
1.b La città distopica: «Her», ovvero l’amore ai tempi delle app
Il film(1) di
Spike Jonze è ambientato a Los Angeles, in un futuro non troppo distante, ma le riprese sono state effettuate a Shangai, riconoscibilissima proprio da alcune inquadrature che ne riproducono la
skyline.
In questo caso parlare di
distopia è un rischio: infatti la città, ordinata, pulita e per nulla caotica, potrebbe sembrare un ambiente ideale e non soggetto alle storture a cui la fantascienza ci ha abituati. È lo spettatore a stabilire se la narrazione porta a considerare in maniera distopica o utopica un futuro in cui i
software abbiano una volontà propria.
Il film, che infatti parla dell’amore tra un uomo(2) e un
software, prende in oggetto la dicotomia “uomo-macchina”, spogliandola però da quella volontà di dominio che l’umanità ha sull’artefatto: una volontà che percorre tutto il cinema di questo genere da
«Metropolis»(3) in poi.
La città non ha il sopravvento sulla scena né, tantomeno, sui protagonisti: si mantiene su uno sfondo pastellato, quasi sfumato, pur restando parte integrante della scena. Shangai finge di essere Los Angeles e durante alcune inquadrature si possono scorgere alcune segnaletiche in cinese: questo anche per concretizzare l’idea di come saranno le città statunitensi nel futuro(4).
Sta a noi decidere (o probabilmente illuderci di poter decidere) se si tratta di un futuro distopico o se la città come la vediamo in «Her», animata e abitata da esseri umani chiusi nei loro microcosmi individuali, è un futuro auspicabile.
1.c La doppia cultura del regista migrante: «Cous Cous»
Abdellatif Kechiche è un regista tunisino, naturalizzato francese. Con
«Cous cous» (5) è riuscito a tratteggiare in maniera delicata e tragicomica le vicende di un portuale maghrebino, ultrasessantenne, che tenta di sfruttare le doti culinarie della ex moglie, un’abile cuoca di
cous-cous.
Beiji(6), infatti, si vede ridurre le ore di lavoro, quindi decide di sfruttare la propria abilità restaurando una vecchia imbarcazione, con l’intenzione di trasformarla in un ristorante tipico di cucina tunisina, servendo il piatto forte della ex moglie.
Con quest’opera Kechiche rievoca le proprie origini e le proprie tradizioni, ambientandole nell’industriosa Francia del sud, tra i cantieri navali nei pressi di Marsiglia, dando anche un ritmo piuttosto frenetico alla narrazione. Tra l’altro Beiji vive con la nuova compagna nell’albergo gestito dalla ex moglie, quindi la pellicola si dipana anche su forti contrasti tra culture di ieri e di oggi.
La burocrazia francese sarà l’antagonista della tradizione arabo-maghrebina, dove lo sfondo portuale è specchio e fonte di vita e di sostentamento, dato che il protagonista non riesce a immaginare un’alternativa che sia lontana dalle imbarcazioni a cui ha dedicato la propria esistenza.
1.d Deambulazione notturna: «La notte» di Antonioni
La pellicola(7) di
Antonioni del 1961 prosegue idealmente sulle tematiche di
«L’avventura»(8) , precedente lavoro del regista ferrarese che indaga sulle sfumature che caratterizzano le fragili e instabili relazioni umane dei suoi protagonisti.
Anche in «La notte» lo spettatore assiste a una crisi di coppia che si è sviluppata e trascinata nel tempo e che trova il suo epilogo in una tragica nottata.
L’arco narrativo va dal pomeriggio di un sabato all’alba del giorno seguente, momento in cui Giovanni e Lidia(9) giungono all’epilogo del loro matrimonio. L’occhio indagatore di Antonioni accompagna Lidia nei vari momenti della sera e della notte: la presentazione dell’ultimo libro del marito, i
parties dell’alta borghesia milanese, ma soprattutto i momenti in cui elabora la propria solitudine. È in questi momenti che Lidia decide di vagare da sola per le strade di Milano.
La notte non è soltanto un elemento fisico, ma diventa un personaggio in grado di dare corpo a una cifra stilistica di estraniazione. Lidia assiste ad alcuni momenti che la rendono aliena, mentre il contesto urbano le diventa improvvisamente estraneo, distante dalla sua concezione di esso.
Fino all’alba, momento in cui il sole sorge a dare vita a una nuova giornata e, probabilmente, a una vita nuova per i due protagonisti.
1.e Interno scatola dell’esterno: «Arca russa»
Il capolavoro(10) di
Sokurov è pacificamente ascrivibile alla lista dei film più belli, più importanti e più preziosi della storia del cinema.
Intanto perché, tecnicamente, raggiunge un traguardo a cui già ambiva l’
Hitchcock di
«Nodo alla gola»(11) , ovvero quello di girare un intero film con un unico piano sequenza, operazione che al regista Russo riesce (anche) grazie alle innovazioni del digitale.
Il protagonista ci presta i suoi occhi e la sua voce fuoricampo, divenendo quindi personaggio e narratore. Per incanto si ritrova all’interno dell’Hermitage di San Pietroburgo, dove il percorso tra le sale diviene un viaggio nel tempo.
Il Palazzo d’inverno, quindi, subisce una metamorfosi che lo porta a essere, dall’attuale museo che è, il luogo dove si rievocano personaggi e situazioni di un’epoca passata, rivestendo il ruolo di palazzo reale che gli apparteneva già durante il XIX secolo.
Sokurov quindi utilizza un importante simbolo di San Pietroburgo come teatro labirintico in cui venire a contatto con gli zar del passato, in un contesto meraviglioso di vita di corte e sfarzose feste da ballo. Oltre a essere una missione compiuta per quanto riguarda l’integrità del piano sequenza, il film è un vero e proprio capolavoro di dialoghi, costumi e nostalgiche rievocazioni storiche. È la meta-ambientazione storico-narrativa di un passato rivissuto sulla pelle del protagonista-narratore, una perfetta analogia del ruolo di “scrigno dei tempi andati” che è il museo in generale e l’Hermitage in particolare.
Nicola Nimi Cargnoni
Prossimi numeri:
- Clerks, Alta fedeltà, Grand Budapest hotel, Il buio oltre la siepe
-Capitolo II - Periferia romana, periferia italiana; Accattone, Mamma Roma
-Brutti sporchi e cattivi, Et in terra pax, Sacro Gra
-Pasolini e conclusione
note:
(1) Un film di Spike Jonze. Con Joaquin Phoenix, Scarlett Johansson, Amy Adams, Rooney Mara, Olivia Wilde. Titolo originale Her. durata 126 min. - USA 2013.
(2) Interpretato da Joaquin Phoenix.
(3) Un film di Fritz Lang. Con Gustav Fröhlich, Brigitte Helm, Alfred Abel, Rudolf Klein-Rogge, Fritz Rasp. Fantastico, b/n durata 180 min. - Germania 1927.
(4) Questo particolare è confermato per stessa ammissione del regista.
(5) Un film di Abdel Kechiche. Con Habib Boufares, Hafsia Herzi, Faridah Benkhetache, Abdelhamid Aktouche, Bouraouïa Marzouk. Titolo originale La Graine et le Mulet. Drammatico, durata 151 min. - Francia 2007.
(6) Interpretato da Habib Boufares.
(7) Un film di Michelangelo Antonioni. Con Monica Vitti, Marcello Mastroianni, Jeanne Moreau, Rosy Mazzacurati, Bernhard Wicki. Drammatico, b/n durata 122' min. - Italia 1961.
(8) Un film di Michelangelo Antonioni. Con Gabriele Ferzetti, Monica Vitti, Lea Massari, Renzo Ricci, Dominique Blanchar. Drammatico, b/n durata 140 min. - Italia 1960.
(9) Interpretati da Marcello Mastroianni e Jeanne Moreau.
(10) Un film di Aleksandr Sokurov. Con Maria Kzsnetsova, Leonid Mozgovoy, Alexander Chaban, Sergej Dreiden. Titolo originale Russki Kovcheg - Russian Ark. Storico, durata 96 min. - Russia, Germania 2002.
(11) Un film di Alfred Hitchcock. Con James Stewart, Farley Granger, John Dall, Cedric Hardwicke, Constance Collier. Titolo originale Rope. Giallo, durata 80 min. - USA 1948.