21 Marzo 2016, 13.00
Valsabbia
Infanzia

I bambini e la fine della vita

di Barbara Podavini

Come possiamo dire ad un bambino che le persone che amiamo ci lasciano perchè muoiono? Ci aiuta a trovare le risposte a questo ed altri quessiti la Dottoressa Alessandra Braga, Psicologa e Psicoterapeuta


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Propongo un sunto dell’incontro tenutosi lo scorso 16 marzo presso la scuola materna Angela Volpi di Bedizzole dove la Braga è responsabile dello “Spazio Genitori”.

Partendo dal presupposto che nessun genitore vorrebbe mai turbare la serenità del proprio cucciolo, impaurirlo o spaventarlo, dobbiamo anche tener conto del fatto che l’idea della morte arriva ai nostri bambini molto presto, basta pensare che spesso nei loro cartoni animati preferiti le mamme o entrambi i genitori muoiono – Cenerentola, Biancaneve, Dumbo, Bambi, Frozen - quindi altrettanto presto siamo chiamati a dare delle spiegazioni.

Anche se facessimo del nostro meglio per preservarli, prima o poi la morte arriva anche nelle nostre famiglie: un familiare, un amico, un conoscente, il nostro cagnolino o più semplicemente i pensieri sollecitati dai fatti di cronaca che inevitabilmente giungono anche a loro.

Nella nostra cultura la morte è spesso esorcizzata e quando una persona muore lascia in noi un senso di rabbia e di dolore, ci da fastidio parlarne, a maggior ragione con i nostri figli, forse perché temiamo che arrivino a chiederci “ma tu quando morirai”?

Spesso noi adulti soffriamo di crisi di ansia
perché non riusciamo ad interiorizzare la fine della vita quindi non possiamo pretendere di dare risposte se noi per primi ne siamo così angosciati.
Certo è più facile dare risposte se abbiamo un bagaglio culturale di fede profonda, se il nostro credo ci aiuta ad accettare il passaggio dalla vita terrena a quella ultraterrena, come a dire che un cattolico ha più gettoni in tasca per spiegare la morte ma, deve crederci per primo.

Forti di alcune convinzioni
possiamo quindi apprestarci a dare delle spiegazioni, ma è certamente meglio prospettare ai bambini l’idea del paradiso piuttosto che quella dell’inferno, perché possa arrivare loro il messaggio che la morte è certamente un dolore ma che questo non è senza soluzione.

Parlando di una persona a loro cara che è venuta a mancare, può essere d’aiuto dire “non lo rivedremo più in questa vita ma rimarrà sempre nei nostri ricordi, nel nostro cuore, lo rivedremo nelle sue cose, in un fiore, nelle stelle, nell’arcobaleno”.
Alcuni libri ci aiutano ma non servono a niente se prima non abbiamo dato noi delle risposte.

Nel corso dell’incontro i genitori presenti hanno fatto delle richieste specifiche circa il modo migliore di rispondere ad alcune domande. 
Queste le risposte suggerite dalla Braga:

A che età è giusto parlare della morte ad un bambino?
Aspettiamo che facciano loro delle domande, non facciamolo quando decidiamo noi perché se non chiedono spesso non sono pronti per capire.

Quando chiedono cosa succede dopo la morte?
Rispondete “il corpo si distrugge e il cuore rimane nei nostri ricordi” poiché la morte non deve essere un dolore senza speranza ma l’idea che deve passare loro è che dalla fine ci sia un nuovo inizio.

Se chiedono dove vanno i morti?
Non bisogna essere evasivi o prendere tempo dicendo loro “lo capirai”, abbiamo la responsabilità di spiegarlo senza traumatizzarli con episodi di tragicità, quindi se non siamo in grado di farlo, perché non riusciamo a contenerci ed affrontare il nostro lutto, è meglio allontanarli.

E’ il caso di farli partecipare al funerale?
Si se c’è tristezza, no se c’è disperazione dei genitori perché noi siamo il loro metro di misura e rischierebbe di arrivare il messaggio del “dolore senza speranza”.
Non è giusto proteggerli da questi passaggi perché fanno parte della vita ma è meglio evitargli scene drammatiche come la chiusura della bara o del loculo al cimitero.

Ricordiamoci poi che, anche per loro, l’elaborazione del lutto non finisce con il funerale ma continua per tanto tempo.
Anche i bambini attraversano le diverse fasi della elaborazione del lutto: disperazione – arrabbiatura – speranza. L’adulto ha il difficile compito di aiutarli traghettare il dolore ma deve a sua volta essere pronto e, soprattutto, il nostro dolore non deve impedirci di star loro vicini.

Chi deve dare la notizia della morte?
Noi, usando le parole giuste. Dobbiamo saper spiegare anche le cose da grandi usando parole semplici ma corrette, senza nascondere la verità: il tumore non è una piccola ferita ma deve essere spiegato come tale allo stesso modo chiamiamoli ictus ed embolia cerebrale.
Cosa molto importante è, dopo aver dato la notizia, essere in grado di accompagnarli nella elaborazione del fatto non lasciandoli soli nelle loro congetture.

Dobbiamo fargli vedere il feretro?
Si, se lo chiedono ma preparandoli prima su cosa vedranno. Le nostre parole devono accompagnarli per spiegare cosa stanno vedendo, il perché delle preghiere, perché la gente piange.

Infine un consiglio: tenere sempre libri sulla perdita in casa per tenere vivi i ricordi positivi.
ad esempio “Un paradiso per il piccolo Orso” di Wolf Erlbruch.





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