17 Novembre 2015, 07.40
Parigi

Lo sport trionferà sempre

di EnneEmme

Terrorismi di ogni colore: da Monaco ad Atlanta, passando per Manchester, Weliveriya, la Coppa d'Africa in Angola, fino agli ordigni della maratona di Boston. E nonostante tutto, lo sport continua ad unire


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Lo stadio simbolo dello sgomento, luogo delle barbarie. Calciatori evacuati, il Presidente Hollande che fugge scortato, gli spettatori accorsi in campo, stretti l’uno all’altro, intimoriti con il cellulare in mano nel tentativo di contattare i propri cari. Non li unisce la passione, ma la paura.

Fuori esplosioni e urla, dentro panico e lacrime.
Gli attentatori avevano pianificato una mattanza da esibire al mondo in diretta tv che per fortuna, almeno all’interno dello Stade de France, non si è verificata.

Magari non di attentati, ma spesso i nostri stadi sono stati luoghi di scontri violenti e vergognosi che hanno fatto registrare vittime (spesso innocenti) sia tra le fila dei tifosi che delle forze dell’ordine.
L’intreccio fra terrorismo e sport invece è una storia che ci riporta alla mente la strage dell’Olimpiade di Monaco del 1972, quando otto terroristi palestinesi fecero irruzione nella palazzina del villaggio olimpico che ospitava gli atleti israeliani. Gli undici atleti presi in ostaggio furono uccisi e un poliziotto tedesco perse la vita, oltre ai cinque attentatori.

La guerra presto si spostò presto altrove, in Palestina, dove cominciarono i bombardamenti degli israeliani nei campi profughi palestinesi in Libano e Siria.

Nonostante la strage, la rassegna continuò e non si cedette alla paura.
Un atto di coraggio da cui trarre spunto oggi; e infatti domenica cittadini parigini scesi in piazza a manifestare tenevano in mano cartelli con la scritta “Not Afraid”, “non abbiamo paura”. E’ questo il segnale giusto da lanciare alle truppe del califfo.

Tornando ancora al passato, dopo i struggenti fatti di Monaco, la furia terrorista collegata agli eventi sportivi non ha stentato a placarsi. Perché nonostante i protocolli di sicurezza e i mezzi tecnologici più avanzati, l’uomo non avrà mai la totale sicurezza di essere al sicuro da atti inumani.

E così è stato all’Olimpiade di Atlanta 1996,
quando Eric Rudolph, attivista cristiano che supportava battaglie contro aborto e omossesualità, piazzò una bomba che uccise 2 passanti e ne ferì 111 in un parco pubblico della città americana.

Nello stesso anno l’attentato di Manchester durante l’europeo di calcio in Inghilterra da parte dell’Ira causò 212 feriti.
E ancora la strage della maratona di Weliveriya nel 2008, in Sri Lanka, realizzata da affiliati delle Tigri Tamil che costò la vita a quindici innocenti.

Nel continente nero invece è celebre e recente la sparatoria perpetrata ai danni dei calciatori del Togo, durante la Coppa d’Africa in Angola: bilancio quattro morti.
Nel 2013 due ordigni piazzati all’arrivo della maratona di Boston hanno causato 3 morti e 264. Ed è questa l’ultima tragedia che ha travolto i simboli sportivi in nome di guerre ideologiche servendosi di morti innocenti.

L’unica cosa che ci deve far forza è sapere che nonostante panico e sangue, lo sport è ancora vivo e continua nella sua missione a trasmettere sani principi e a far incontrare persone con culture, colori e fedi differenti.




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