13 Luglio 2015, 07.19
Pensiero

Tra grecità e cristianesimo, vampe e fuochi fatui

di Nicola Zanoni

Uomo minato è il greco – uomo a metà. Scandaglio del dio nel suo esser dal dio scandagliato. Poiché il divino in terra di Grecia è tremendo e orrorifico, nascosto com'è dietro un'aurea maschera di metafisica serenità


Cercando il dio il greco perde se stesso – a prezzo di sé lo trova.
E frutto di quest'esser minato e braccato e sfiancato è il nascere della filosofia, nelle vette più rarefatte di un pensiero che imbriglia la vita pur essendo – proprio perché essendo – nel cuore della vita invischiato.

Sicché anche e soprattutto il filosofo è un uomo a metà, come mostran gli aneddoti: a Talete incorse infatti d'esser dal suo tempo deriso, rinnegato ad Eraclito, a Socrate ucciso e a Platone dimentico.
V'è insomma un'ellenica guerra tra uomo e dio, una lotta, un bollore del sangue, che non si esaurisce se non con il dissolversi vicendevole e sbigottito dell'una e dell'altra realtà – una guerra intestina, tanto più efferata e crudele quanto meno consegnata al clangore delle armi, a vantaggio del belletto amicale d'un pacato dialogo tra eguali. Poiché in Grecia il peccato è uno con la virtù, ed è orgoglio. Poiché la Grecia vince lo squallore evocandolo, giacché evocandolo lo domina.

Ora, il cristianesimo ben conosce il dramma del vivere. Lo vede, lo sente, lo tocca con mano.
Ma non lo domina, né pretende di farlo: lo vuole piuttosto redimere. Lo vuole redimere nel Dio che sacrificandosi come vittima innocente rende vano ogni altro sacrificio umano – ogni sacrificio troppo umano...
Lo vuole redimere nel Cristo che su di sé assume il peccato a tal segno da poter dire: “Non opponetevi al malvagio” (cfr. Mt 5, 39). Lo vuole redimere facendo un tutt'uno di Dio e uomo – di vero Dio e vero uomo – in Gesù.
Lo vuole infine redimere anteponendo la Vita (nel Cristo) alla Verità.
Sicché il Dio dei cristiani è un Dio già da sempre degli, con gli uomini – laddove degli dèi si dica piuttosto siano loro subdolamente, ambiguamente contro.

Posto in questi termini, lo iato che s'origina tra queste due dicotomiche visioni del mondo appare incolmabile – e lo è.
L'arcaismo mitologico d'un Parmenide o di un Anassimandro poco o nulla ha a che vedere con il luminoso impianto, poniamo, d'un San Tommaso.
Eppure il travaglio del passaggio dall'una all'altra cultura fu sì doloroso in qualche (abbondante) misura, ma comunque privo di soluzione di continuità.

Perché?
In primis
perché, sul versante greco, tra i due poli in tensione funse da medium la grande sintesi platonico-aristotelica con la potente sua metafisica, capace di erigersi a sistema compiuto e così di fornire le categorie filosofiche necessarie al nascente pensiero cristiano (si pensi, ad esempio, al 'Bene' platonico e alla 'filosofia prima', o 'teologia', aristotelica). 
Ma, in secundis, da raccordo fecero anche e soprattutto le figure di quegli intellettuali cristiani, religiosi e non, della cosiddetta 'Patristica'.

Più o meno gravitanti attorno ai centri culturali dell'Ellenismo (soprattutto Alessandria d'Egitto), più o meno forgiati all'interno del pensiero greco, essi traghettarono la nuova religione dai suoi primi, clandestini vagiti alla virile maturità d'un sant'Agostino, un occhio rivolto ad Atene e l'altro a Gerusalemme.

Spicca tra questi la biografia di Giustino (123 d.C. ca. - 167 d.C. ca), santo e martire, capace di bazzicare per i sistemi filosofici come ape tra i fiori – non certo per edonismo, ma per suggerne il miglior nettare.
Stoico, poi peripatetico, poi pitagorico, infine platonico – almeno fino all'incontro con un vegliardo in grado di appagare definitivamente la sua sete di verità indicandogli la via del Vangelo.

“Un fuoco divampò all'istante nella mia anima” egli scrive nel Dialogus cum Tryphone, rievocando quegli attimi; “FEU” vergherà più semplicemente nel suo Memoriale, quindici secoli dopo, Blaise Pascal, la notte stessa della sua conversione.

Ma anche Origene di Alessandria (184 d.C. ca. - 253 d.C.) contemplò il fuoco.
Rileggendo la palingenesi del Logos teorizzata dallo stoicismo alla luce delle parole di san Paolo – “E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti” (1Cor 15,28) – egli elaborò la nota dottrina dell'apocatastasi, ossia del riassorbimento, del reintegro di ogni realtà contingente (e dunque e soprattutto anche del male) nella realtà, ultima e necessaria, di Dio.
Così, sorta di  Ringkomposition, la storia del fuoco è anche la storia di Dio: fiamma che non brucia pur ardendo il roveto nell'Esodo, o divampare arbitrario di incendio tra gli uliveti in Ellade – giacché laggiù, con Eraclito, “tutte le cose governa la folgore”.

Nicola Zanoni

Questo articolo presenta in estrema sintesi i primi, balbettanti abboccamenti tra grecità e cristianesimo, più compiutamente esposti dal prof. Luciano Pace nelle sue lezioni sulla filosofia cristiana tenute presso la Biblioteca di Odolo qualche tempo fa – lezioni che appunto hanno costituito l'occasione per questo pezzo.




Commenti:
ID59142 - 13/07/2015 10:50:53 - (Dru) - molto bello lo scritto, ma, pur evocando lo squallore non lo guarda in faccia.

E' vero, il greco evoca lo squallore, e così come lo evoca, crede di poterlo dominare; non più con il mito, ma con la filosofia, non più è metamorfosi ma sempre è e sempre sarà opposizione tra essere e nulla. Allora lo squallore si mostra con tutta la sua infinita meraviglia, allora l'angoscia è traumatizzante e la salvezza un rebus che solo la sapienza sa districare, non basta più il mito alla verità, assolutamente insufficiente e la verità è l'infinita opposizione di essere e nulla. "Creatio est productio rei ex nihilo sui et subjecti" dice Agostino "“la creazione è produzione della cosa da un precedente niente sia di se stesso che di ogni oggetto“.La parola “creazione” vuole, dunque, imporre la totale inesistenza dell’ “essere” (e quindi del mondo) prima della sua produzione da parte di Dio.Ma siamo già nelle profondità del nichilismo,

ID59143 - 13/07/2015 10:58:24 - (Dru) -

profondità che vengono scavate dalla filosofia greca portando alla luce, con tutto il suo bagaglio di terrore, la la parola magica: "nulla". Dice Eschilo nel Prometeo «La téchne è troppo più debole della necessità» (Il Prometeo incatenato, v. 514, si tratta di comprendere che questo è l'inizio del nichilismo o dell'esser nulla, mentre quello del cristianesimo è uno dei risultati più potenti.

ID59146 - 13/07/2015 11:16:20 - (Dru) -

La nozione di creazione pone l’accento sul NULLA del punto di partenza (“ex nihilo“) dell’azione creatrice. Il Dio cristiano è l'ultimo Dio omicida, il Dio greco è il primo omicida. Ben più armato il Dio cristiano, infatti la filosofia greca salva la materia (energheia) in quanto eterna, come il DIo eterno, mentre il DIo cristiano, appunto, dice "..ex nihilo..subiecti", il nulla è anche della materia...

ID59157 - 13/07/2015 17:32:09 - (Dru) - A volte esagero, presumendo che sappiate, ponendo implicitamente argomenti essenziali alla comprensione...

quando dico che il nulla è anche della materia in Cristo, con Agostino, intendo differenziare il mondo Greco, in cui vi è opposizione tra materia è nulla, in quanto la materia è eterna, è il nulla della materia stessa. Il nulla della materia è un predicato impossibile, poichè la materia non è nulla, ma se 'acme della potenza è Dio, allora tutto deve essergli nulla a confronto... Anche la materia appunto, questo pensa Agostino quando produce quella proposizione.

ID59159 - 13/07/2015 17:34:28 - (Dru) - Riscrivo con le e al posto delle è

quando dico che il nulla è anche della materia in Cristo, con Agostino, intendo differenziare il mondo Greco, in cui vi è opposizione tra materia e nulla, in quanto la materia è eterna, e il nulla della materia stessa. Il nulla della materia gli è un predicato impossibile, poichè la materia non è nulla, ma se l'acme della potenza è Dio, allora tutto deve essergli nulla a confronto... Anche la materia appunto, questo pensa Agostino quando produce quella proposizione, è Dio a creare tutto, anche la materia.

ID59160 - 13/07/2015 17:35:23 - (Dru) - A proposito

nessun fuoco fatuo, non ci sarebbe alcun cristianesimo senza filosofia...

ID59161 - 13/07/2015 18:41:11 - (gabrielconroy) -

Checché se ne dica, la filosofia altro non è che un tardivo frutto dell'albero della letteratura, di cui è - e resta - un genere: vale a dire, un dominio dell'arte. Così la intende Platone, che, perfetta levatrice, guida il travaglio della di lei gravida sapienza; così la cristallizza Aristotele, nella cui dicotomica impostazione dialettica s'intuisce l'eco del dilemma tragico, della rappresentazione teatrale par excellence; così poi testimonia il suo infecondo, intristito sviluppo.

ID59162 - 13/07/2015 18:42:30 - (gabrielconroy) -

Ma, ancor prima che la filosofia fosse se stessa - all'origine cioè del glaciale pensiero che definitivamente fissa l'identico - qualcosa che non è filosofia immagina già cosa la filosofia sarà. Giacché è proprio Parmenide che "valida legge avendo fissato", quella medesima legge potentemente adombra, sinistro: "pant'onoma estai [...] ghignesthai te kai ollusthai, einai te kai ouchi", "tutti nomi saranno [...] divenire e dissolversi, essere e no". Detto à la Wilde: datemi una maschera e vi dirò la verità.

ID59164 - 13/07/2015 19:22:51 - (Dru) - Mi interessa

allora della filosofia si predica la letteratura ma non sempre della letteratura si predica la filosofia, insomma, aristotelicamente parlando, essendo la filosofia un genere della letteratura, ogni filosofia è filosofia della letteratura mentre non ogni letteratura è letteratura della filosofia. Allora lei mi deve definire filosofia e mi deve definire letteratura...

ID59165 - 13/07/2015 19:39:21 - (Dru) -

Filosofia ė la scienza che studia l'ente in quanto ente, la letteratura è la scienza che studia l'ente in quanto lettera. Si tratta di capire se la lettera è lettera dell'ente o se l'ente è l'ente della lettera. Per la nuova ermeneutica è ovvia la seconda, come per lei, poiché pensiamo solo attraverso le lettere (o parole), si che il linguaggio è l'essere e l'essere muta come ogni parola è suo significato. Si tratta di comprendere che ad ogni mutamento vi è sottesa un'unità, o identità, che non vi sarebbe altrimenti alcuna diversificazione del significato e della sua parola. Questa identità è filosofia o ente in quanto ente.

ID59166 - 13/07/2015 19:51:11 - (Dru) -

Che la filosofia venga poi, significa che qualcosa viene prima. Ma il prima e il poi può essere rispetto al tempo, e allora sono categorie storiche, o rispetto all'originario, e allora sono categorie filosofiche, appunto. Che un uomo-scimmia o il Big Bang vengano prima di Aristotele, ha un valore storico, appunto, che Aristotele venga prima del Big Bang ha valore filosofico. E questa è aurea: non è che, perché è messo tutto in discussione, allora possiamo raggiungere o ricercare la Verità, ma è perché siamo nella Verità che, allora, si può mettere ciò che non appartiene alla sua dimensione in discussione.

ID59167 - 13/07/2015 19:52:42 - (Dru) -

Voglio dire che se si pensa con le categorie dell'ingenuità realistica allora le sue parole possono avere anche qualche validità.

ID59168 - 13/07/2015 20:00:35 - (Dru) -

Altrimenti, se io la pensassi come lei, dovrei dire che ad ogni letteratura che cambia, cambia l'essere se'ultimo è originario essere è l'essere della letteratura, ma l'ultimo (e primo) essere è l'essere dell'essere, e questo non muta al mutare delle lettere...

ID59169 - 13/07/2015 20:05:11 - (Dru) - Scusi, ma l'ipad fa quello che vuole.. Dicevo, se ricordo

ID59168 - 13/07/2015 20:00:35 (Dru) Altrimenti, se io la pensassi come lei, dovrei dire che ad ogni letteratura che cambia, cambia l'essere, se l'ultimo e originario essere è l'essere della letteratura, ma l'ultimo (e primo) essere è l'essere dell'essere (ente in quanto ente dice Aristotele in Metafisica) , e questo non muta al mutare delle lettere...

ID59172 - 13/07/2015 20:28:11 - (gabrielconroy) -

La filosofia - la definizione non è certo mia! - sarebbe l'amore per il sapere. Il che presuppone non solo che il sapere non sia posseduto e pertanto stia (in senso forte, anzi, fortissimo - direi parmenideo…) altrove rispetto alla filosofia stessa, ma anche - che è quanto qui interessa - la definizione dell'amore, di cui, aristotelicamente parlando, la filosofia sarebbe un genere (si noti soltanto en passant come già questo si configuri come un tema in tutto e per tutto letterario - e non si obbietti che l'eros platonico non è l'agape cristiana o il romanzo d'appendice ottocentesco). Perciò, posto: “l'amore è x“, il definiendum ora diviene ‘x’ e successivamente, posto (e badi - so che lo sa! - che non io arbitrariamente lo pongo, ma il rigore della sua argomentazione) “x è y” , si definisca ‘y’, e, definito ’y’ come “y è z", si definisca

ID59173 - 13/07/2015 20:29:39 - (gabrielconroy) -

“x è y” , si definisca ‘y’, e, definito ’y’ come “y è z“, si definisca ’z’… et sic in infinitum… Con il che lei mi obietterà - perfettamente a ragione peraltro! - il potentissimo, monolitico IV della Metafisica e la sua algida, cristallina costruzione… Ma a quel punto io le avrò raccontato soltanto una storia, mentre è proprio della filosofia e della filosofia soltanto (ancorché voglia chiamarsi scienza, o teologia, o chissà che altro…) occuparsi delle definizioni, della letteratura invece raccontare - ammesso che lei non conosca una letteratura senza storie e una filosofia senza definizioni, quale peraltro il Parmenide del mio post precedente (e spesso inascoltato, a favore dell’altro Parmenide) parrebbe suggerire, facendo dell’essere (e del non-essere) un nome ed un nome soltanto.

ID59186 - 14/07/2015 01:21:26 - (Dru) - gabriel

si possono dare diverse definizioni e sicuramente saranno sempre incomplete, a me ad esempio piace di più "attenzione per ciò che sta in luce", ma certo anche qui si produce un dualismo in ciò che sta in luce e in chi sta attento per ciò che sta in luce. A questo punto si dovrebbe riconoscere la coscienza dell'autocoscienza, e in base a che si afferma ciò che sta in luce e chi sta attento? da qui la produzione del regregressus o progressus ad indefinitum. Mettiamo allora che l'"attenzione per ciò che sta in luce" si afferma in base all'"apparire" di questa proposizione: "attenzione per ciò che sta in luce" e chiamiamo con la lettera P la proposizione e con A l'apparire di questa proposizione. A questo punto lo sviluppo logico di questa fondazione rischierebbe appunto di involversi in un progressus ad indefinitum

ID59187 - 14/07/2015 01:28:44 - (Dru) -

e la domanda successiva sarebbe appunto in base a che cosa si afferma l'apparire di P? lo si afferma in base all'apparire dell'apparire, perché la filosofia non si accontenta di produrre una tesi ma ha bisogno anche di giustificarla e se la condizione per cui P è vera è l'affermazione di A, allora, come dicevamo, la logica dispone a chiedersi e l'affermazione di A? producendo il regressus o il progressus ad indefinitum. La stessa cosa avviene per i giudizi sintetici a posteriori kantiani: su quale base si afferma un giudizio sintetico a posteriori? sulla base dell'esperienza. E, parentetico all'esempio sopra, su quale base si afferma l'esperienza? vede che anche qui si produce la verità del giudizio condizionata... Ora, è importante far caso sul presupposto logico di quanto abbiamo detto fin d'ora, e cioè ci avvarremo della Fenomenologia dello Spirito dello Hegel.

ID59188 - 14/07/2015 01:39:33 - (Dru) -

In queste memorabili pagine si definisce la costruzione degli stati del mondo a partire dagli stati più semplici per crescere a quelli più complessi, prima vi sono le sensazioni poi la percezione delle sensazioni, su, su, fin alla coscienza delle medesime. Così anche Carnap in "La costruzione logica del mondo" parla di stati più semplici in origine che via via vanno sempre più complessificandosi. Ecco che la logica che produce il regressus presuppone appunto questo tipo di evoluzione coscienziale per cui prima ci sono gli stati più semplici fin su a quelli più complessi, quindi prima la proposizione P poi l'apparire della proposizione o A e l'apparire dell'apparire A, producendosi il regressus. Ma siamo sicuri che in effetti le cose si presentino a questo modo?

ID59189 - 14/07/2015 01:40:29 - (Dru) -

Mettiamo altrimenti che nel contenuto dell'apparire sia incluso anche l'apparire del contenuto per cui in P è incluso anche A, noterà che l'aporia così è tolta ...

ID59190 - 14/07/2015 01:41:36 - (Dru) -

le rispondo di notte perché ho avuto una lunga e proficua riunione, buonanotte dunque.

ID59191 - 14/07/2015 01:42:21 - (Dru) - a domani

un'analisi più attenta del suo scritto...

ID59196 - 14/07/2015 10:21:26 - (Dru) - Molto belle le sue ultime due

se vuole approfondire l'aspetto fondativo della filosofia, se ancora non lo avesse letto, le consiglio "filosofia futura" di Emanuele Severino, un testo godibile e propedeutico all'argomento fondativo. Altrimenti, per un po' di tecnicismo anche questa godibile tesi sul "Oltre il trilemma di Fries" in PDF che trova in Internet. Comunque la sua tesi sul rimando fondativo ad indefinitum può essere risolta, come giustamente lei indica, nell'approccio elenctico della negazione del principio di non contraddizione o smplicemente rilevando che è il pensiero così astratto che prima pensa e poi pensa di pensare, ma nel pensiero si trovano già e il pensato e il pensante.

ID59198 - 14/07/2015 10:26:18 - (Dru) - In Parmenide

Non confondiamo quelle parole scritte sopra con la licenza di un'ambigua identità tra essere e non essere. In Parmenide questo non avviene mai sul principio della logica. In quelle parole egli indica l'errore o doxa degli uomini che non sanno ma opinano, perché i nomi non sono l'essere.

ID59201 - 14/07/2015 10:38:13 - (Dru) - Un'ultima chiosa

è del pensiero astratto la letteratura, in quanto sappiamo che vi sarà un inizio e una fine, ma non sappiamo l'inizio e la fine, riducendo il proprio contenuto ad un processo diacronico di parole che sorgono e muoiono in noi: saremo felici di credere di sapere di un'altra storia che non è appunto quello che la storia in sé propone, saremo infelici per questa impossibile identificazione tra l'astratto contenuto in noi e il concreto svolgimento della letteratura. Questo è il processo dialettico di conoscenza e verità, ma dopo quanto scritto sopra, siamo proprio sicuri che le cose si svolgano a questa maniera?

ID59204 - 14/07/2015 11:09:43 - (gabrielconroy) -

La ringrazio dei "consigli per gli acquisti": proprio ora sto scorrendo il PDF sul trilemma, lo trovo molto interessante, preciso e godibile. Quanto a Severino, immagino - dubitare nefas! - lei conosca la mirabile introduzione proprio al IV della Metafisica, che della querelle in oggetto dipana magistralmente il filo.

ID59205 - 14/07/2015 11:39:03 - (Dru) - Gabriel

lei mi interessa. Per ciò che concerne Severino e la sua universale sapienza, sono 5 gli anni che gli ho dedicato giorno e notte, posso dire di aver "letto" il Fondamento della Contraddizione. La contraddizione sta nel supporre l'impossibile, sta nella persuasione che l'ente, ogni ente, esiste, e possa esistere, isolato dal suo essere, è la logica della specializzazione. Il suo fondamento? La separazione o intelletto astratto.

ID59207 - 14/07/2015 13:18:27 - (nicolazanoni) -

un

ID59208 - 14/07/2015 13:19:23 - (nicolazanoni) -

Pardon, ho sbagliato a digitare! Ecco il mio post:

ID59209 - 14/07/2015 13:20:07 - (nicolazanoni) - Due ringraziamenti e una precisazione

Due ringraziamenti ai miei due lettori finora certificati: un articoletto senza pretese ha suscitato un dibattito ben più grande di quanto m'immaginassi. Mi torna alla mente il mito indiano di Kirtimukha, 'Faccia di gloria', il quale, evocato da Shiva per fronteggiare il demone Rahu, una volta sconfittolo reclamava nutrimento infinito, essendo insaziabile: Shiva gli ordinò allora di divorare se stesso. Qualcosa di analogo accade in Grecia, con il mito di Erisittone e quello di Mida; qualcosa di simile altrettanto riecheggia in Nietzsche, quando scrive che il mondo si nutre dei propri escrementi... Chissà che proprio su questo non verta il mio prossimo articolo...

ID59210 - 14/07/2015 13:20:33 - (nicolazanoni) -

La precisazione riguarda invece lo squallore evocato o meno e, per quanto mi par di comprendere, carsicamente s'allinea (ma posso aver mal compreso) alle tesi scettica di Gabriel sull'impossibilità di definire: io credo che lo squallore (da cui si genera 'thauma'), una volta evocato, sia, per dir così, 'oggettivato', 'espresso' e pertanto, proprio in quanto oggettivato, dominato, allo stesso modo in cui, se si vuole, la schopenhaueriana Volontà, radice del mondo, una volta espressa, incardinata - perché no? Narrata… - nient’altro divenga che una rappresentazione: ovverosia, qualcosa che Volontà non è, qualcosa che alla Volontà si contrappone. Il che appunto, mutatis mutandis, significa che lo squallore, evocato, si dissolve - proprio perché evocato…

ID59211 - 14/07/2015 13:45:40 - (Dru) - Signori

È un piacere conversare con voi. Ma evocare non significa "per forza" costruire, in quanto A è A non è A, dunque A non A significa A non è non A. È sul presupposto della creazione che ciò che si evoca può dissolversi e che segue A è non A. Tolta questa persuasione (Parmenide), tolto questo astratto del concreto, resta che il pensiero è l'essere.

ID59215 - 14/07/2015 14:23:26 - (Dru) - Lo stesso è

pensare ed essere.

ID59221 - 14/07/2015 14:46:31 - (Dru) - Resta invece lo statuto dello scettico, base per ogni filosofia

In quanto A nonA o l'operatio secunda intellectus non si presenta alla coscienza come l'identità della relazione con l'operatio prima intellectus ma da essa è vista e vissuta come separata, si che il semantico, come idea che è e sussiste per sé, non può mai identificarsi all'apofantico, la ragione è presupposta come la forza che li può unire e quindi A si presenta, ad essa, come non A che diventa A (creazione)per "forza", la forza che la ragione unisce, ma di ciò che è infinitamente altro dell'altro. In quanto distinti ma uniti dallo stesso (pensiero) sono l'identità della relazione tra semantico e apofantico e quindi A non è nonA o A è non essere nonA che si presentano come cooriginariamente lo stesso.

ID59231 - 14/07/2015 16:47:50 - (gabrielconroy) -

Carissimi, qualcuno di voi ha familiarità con il pensiero di Giorgio Colli? Sua è l'intuizione della follia - la greca manìa - come l'origine della filosofia, secondo una rilettura delle nietzscheane categorie di apollineo e dionisiaco. E sempre sua è una fondamentale disamina dell'architrave logica del pensiero aristotelico, in 'Filosofia dell'espressione'... un qualcosa che molto ha a che vedere con la fondamentale unità di pensiero ed essere, nonché con la formalizzazione delle coppie di contrari (appunto, A e -A) in seno alla stessa logica, aristotelica e non.

ID59232 - 14/07/2015 17:41:59 - (Dru) - di Giorgio Colli

Tengo l'Organon di Aristotele curata dal filosofo, edizione Adelphi.Insomma, non posso dire di conoscerlo se non per alcune convergenze accidentali, so che si definisce figlio di Nietzsche e allora, quando è così, quando i figli si rifanno ai padri (che strana aperta questa per un niciano) preferisco conoscere i padri...

ID59243 - 15/07/2015 09:19:19 - (Leretico) - La letteratura e la filosofia

Gli accenni della filosofia come letteratura mi fanno pensare a Gadamer e all'ermeneutica. Possibile che la verità debba passare per il linguaggio, per il racconto? Eppure, se così fosse, non potrebbe essere verità che riesce a stare. Se dunque la filosofia fosse letteratura non potrebbe cogliere mai il vero, perché sarebbe irraggiungibile, uno iato incolmabile si frapporrebbe, dramma nel dramma di chi pensa e racconta. E allora più credibile la lettratura come filosofia, ché da sempre la verità a tratti fa capolino tra le sequenze di parole, nella sintesi di racconto e pensiero, nei significati che non indicano ma sono.

ID59244 - 15/07/2015 11:15:42 - (Dru) - Struttura Originaria paragrafi 11 e 12, capitolo primo pag 119119

Sono due paragrafi fondamentali per la comprensione autentica della discorsività... E al paragrafo 15 così ci dice l'autore: Se il contenuto del giudizio originario (ndr.del pensiero in quanto vero, perché il giudizio può essere vero e può essere falso e in quanto falso il giudizio non è originario, solo dalla verità si "produce" la falsità, già è problematico sapere da cosa si produca la verità per chi resta nella dimensione scettica) è manifesto discorsivamente (ndr.etteratura), il fine o l'intento del discorrere non è il suo "scorrere" come tale, ma è ciò che nello scorrere si dischiude: la manifestazione appunto del contenuto. Il fine della discorsività sembra in tal modo la stessa esaustione del discorrere, o il suo acquietarsi in un intuire. L'intuizione in cui il discorrere si toglie è la presenza come tale della Struttura Originaria.

ID59245 - 15/07/2015 11:18:37 - (Dru) - Le maiuscole a struttura originaria,

nelle ultime due parole scritte nel precedente post, sono mie...

ID59246 - 15/07/2015 11:31:40 - (Dru) - Scusate ma sono alle prime armi come teorico

il pensiero in quanto vero è una contraddizione, il pensiero è sempre vero e è dello scettico non comprenderlo, intendevo invece dire, nella parentesi, del giudizio in quanto espressione dell'intuizione, perché , e mi ripeto, può essere solo del giudizio di essere vero o falso.

ID59255 - 15/07/2015 17:22:57 - (gabrielconroy) -

Anassimandro apre la storia della filosofia con un racconto temibile - il distacco dall'apeiron 'per le cose che sono' (tois ousi): ciò che è fuori dalla narrazione è per sua propria natura ineffabile, indicibile, silenzioso - l'apeiron appunto. Parmenide di quell'apeiron dice 'che è', facendone l'essere. Zenone allora, nel modo più limpido, chiaro possibile - più chiaro ancora dei suoi meravigliosi paradossi - risponde al maestro che se davvero solo l'essere è e solo questo si può dire (DK 28 B 8, vv. 15-18), allora è meglio non dirlo. E si mozza la lingua, sputandola in faccia al tiranno.

ID59256 - 15/07/2015 17:37:26 - (gabrielconroy) -

Un po’ come…a dire (!): chi si gingilla con le definizioni, o è in malafede, o è già - e proprio perché definisce! - suo malgrado in contraddizione. Una cosa simile dirà il monaco buddhista Nagarjuna, ne ’Lo sterminio degli errori’ e nelle ’Stanze del cammino di mezzo’. Ma, senza volgersi ad Oriente, sarà il medesimo dramma quello che attanaglierà il Platone maturo - quel Platone peraltro che, su sua stessa indicazione (lettera VII, Fedro), non scrive che bagatelle e scherzi insensati e che dunque non merita d‘esser preso sul serio: da una parte la malafede di chi definisce nel ‘Sofista’, dall’altra la contraddizione insita nel definire nel ‘Parmenide’. Ma questa è già un’altra storia: quella della filosofia appunto, retorica costruzione platonica.

ID59260 - 15/07/2015 18:38:31 - (Dru) - Processo dialettico

...

ID59266 - 15/07/2015 19:18:00 - (Leretico) - La contraddizione del dire non è del pensare

La contraddizione può essere solo nel dire, nel raccontare, mai nel pensare. Si può infatti dire che un cavallo è un non-cavallo ma è impossibile pensarlo. Il dire è il raccontare e la filosofia non può reggersi se fondata sul dire. Chiunque voglia fondare una filosofia deve quindi partire dal pensare. Il pesniero non è il racconto del pensare, l'essere non è solo ciò che riesce a essere detto. Il racconto non può sostituire l'essere pena la contraddizione che gabrielconroy rileva. Se quanto sopra ha conseguenze bisognerebbe trarle compiutamente.

ID59267 - 15/07/2015 19:22:45 - (Dru) - Sono contento

di essere immerso in cotanto dire...

ID59272 - 15/07/2015 20:05:54 - (gabrielconroy) -

La conseguenza più radicale è appunto quella di mozzarsi la lingua, come argutamente Dru rileva (...). A meno che Leretico non conosca un pensiero muto, un pensiero che non parla (en passant, logos deriva da leghein, dire-raccogliere, e Platone - per quel che vale - nel Sofista identifica pensiero e dialogo, 263 e 3). Che per conto mio può anche darsi, ma che necessariamente è un pensiero dell'indifferenza (nel senso più proprio del termine, in-differens, a-peira), un pensiero dell'unio mystica, del "tat twam asi" ('tu sei quello', o 'quello sei tu', che dir si voglia)... un pensiero ove cioè più non sussista la distinzione tra soggetto e oggetto insomma.

ID59273 - 15/07/2015 20:07:06 - (gabrielconroy) -

Del resto, confesso di condividere anch'io la contentezza di Dru per il dire!

ID59275 - 15/07/2015 20:44:38 - (nicolazanoni) -

Leretico sottolinea come la contraddizione sia del dire e non del pensare. Verissimo, poiché, come già ricordato da Dru, "lo stesso è pensare ed essere": porre una contraddizione in seno al pensiero non significa nient'altro che porre una contraddizione in seno all'essere. E in effetti la risposta più coerente alla domanda: "Che cosa esiste?" sarebbe: "Tutto" (Quine). E di conseguenza: "Che cosa è vero?" "Tutto". Senonché - e proprio dai meandri più oscuri di quello stesso pensiero - giunge il monito tremendo a considerare come vera solo e soltanto la Verità, ed il resto invece come doxa, Maya, illusione, ombra... Aporia che l'Oriente - ma oserei dire anche Pirrone, altro celeberrimo 'muto' e pure Kant, nelle famose sue antinomie - ha paradossalmente formalizzato nella 'dottrina della doppia verità'...

ID59278 - 15/07/2015 21:12:24 - (Dru) - Ora posso solo imparare

sono quasi commosso, trovare tanto interesse per la filosofia in 4 persone non è facile, trovarle unite in un serrato e interessante dialogo ancora meno. Spero che continueremo su questa strada... A nicolazanoni, molto perspicace e filosofica l'ultima risposta data sulla distinzione tra linguaggio e pensiero. Ti confesso che stavo producendone una io sulla base di Tautotes e Oltre il Linguaggio, due testi memorabili di Emanuele Severino, ma la tua risposta è da libro Gamma... Complimenti.

ID59279 - 15/07/2015 21:28:27 - (nicolazanoni) - A Dru

Grazie mille, sono un lusingato... doppiamente, considerato donde giungono i complimenti! Fortuna lo schermo mi...scherma il rossore! Vi ringrazio davvero, è un piacere discorrere con voi. Severino è una lettura che abbiamo in comune, più di quanto in effetti possa apparire...ma direi che quanto abbiamo in comune è la necessità (nonché il piacere - che è anche un dolore, come dice Socrate nel Fedone...) del dialogo e della verità. Grazie ancora!

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