Preziosa e ormai rara testimonianza che ancora si conserva all’esterno della fucina del rame di Lavenone, è la tromba idroeolica, conosciuta anche come "la tina de l’ora"
Tale presenza è tanto più significativa se si pensa che un manoscritto del 1608 attesta l’impiego, a Lavenone molto probabilmente nel forno fusorio di Maer, di questo manufatto per insufflare aria durante i processi metallurgici.
Nella
“Descrizione della Valle Sabbia fatta da Bartolomeo Soldo ad Istanza dell’Ill.o Sig. Vincenzo Gussoni” conservato nella Biblioteca Civica Queriniana di Brescia, Sezione manoscritti, appare per la prima volta nella zona alpina, la descrizione di una tromba idroeolica applicata al servizio di un forno fusorio: “
Lavinone. Fa da Settecento anime et ha molti edifitij de focine, et un forno da ferro, qual forno senza mantici, senza rota, ma solo col vento causato da l’acqua che artificiosamente casca in certe concavità artificiosamente fatte, lavora colando la vena et facendo il ferro, come fanno li altri forni che vanno con rote et mantici, va con manco spesa assai, cosa stupenda et degna d’essere veduta”.
Questo antico manoscritto apre un problema di cronologia relativamente alla diffusione della tromba idroeolica nel bresciano, poiché la letteratura storico-economica fa risalire la sua introduzione nella nostra provincia a far tempo dal 1745 come si evince dalla monografia del letterato Giambattista Brocchi, dedicata alla lavorazione del ferro nel dipartimento del Mella.
Questo stato di cose non poteva passare inosservato per il grande esperto di storia valsabbina, Giancarlo Marchesi di Vestone, il quale, partendo appunto dall’analisi analitica delle affermazioni del Soldo ha pubblicato nel 2004 un prezioso opuscolo dal titolo emblematico “
Cosa stupenda et degna d’essere veduta” riferendosi alla tromba idroeolica in Valle Sabbia agli inizi del Seicento.
Il primo testo sulle trombe idroeoliche è il trattato “
Pratica minerale” di Marco Antonio della Fratta, stampato nel 1584.
Un altro interessante accenno si trova anche in G.B. della Porta che nel suo
“Della Magia Naturale Libri X”, nel 1589 scrive “
Come l’acqua possa far ufficio di mantice”.
Entrambe queste testimonianze fanno riferimento a “
Botti e trombe per soffiare” presenti nell’Italia centrale nei pressi di Roma.
Nel “
Catastico della Città di Brescia et suo territorio”, nel 1609, Giovanni Da Lezze ricordava come, a Lavenone, “
la maggior parte degli huomini sono buoni maestri da lavorar ferri. Vanno continuamente fuori a lavorar nelle fucine parte in Terra tedesca, in Schiavonia, in Labrucio, Romagna, Fiorenza, Parma et altri luoghi”.
Questo spiega compiutamente come gli uomini di Lavenone, durante la loro emigrazione professionale, seppero trarre quelle conoscenze necessarie per poi realizzare la tromba idroeolica in ambiente metallurgico locale.
Per mantenere vivo un fuoco di legna o di carbone occorre soffiarvi sopra aria, per allontanare la cenere e per fornire ossigeno alla combustione.
Per raggiungere le elevate temperature necessarie per i processi metallurgici, la combustione deve essere alimentata energicamente con opportuni dispositivi soffianti, fra i quali vanno annoverate anche le trombe idroeoliche.
Si trattava di un dispositivo ingegnoso e semplice, basato sullo stesso principio applicato oggi per generare il vuoto mediante iniettori.
Le trombe idroeoliche erano costituite da uno o più tronchi in legno cavi disposti verticalmente in cui l’acqua veniva fatta precipitare da un bacino (bottaccio) in modo tale che essa trascinasse con se la maggior parte di aria, attraverso fessure laterali dei tronchi o dall’alto.
Acqua e aria confluivano in un recipiente chiuso (bottino o tinazzo), generalmente in legno, ma anche in muratura o ferro e , mentre l'acqua fuoriusciva per perdita sotterranea, l'aria era sospinta nella fucina attraverso una rete di condotti portavento che giungevano alle forge, ventilandole costantemente.
L’acqua precipitando attraverso la condotta verticale trascinava con sé l’aria che, all’interno del bottino, circa a metà della sua altezza, si separava su di un piano (pietra, banchina, formaggella).
Questo strumento, ingegnoso e nello stesso tempo semplice e poco costoso, svolgeva la funzione comunemente affidata a grossi mantici che però richiedevano grande forza motrice ottenuta con l’impiego di ruote idrauliche ad asse orizzontale.
La durata del mantice era legata a quella delle costose parti in cuoio che ne rendevano assai dispendiosa la manutenzione e la costante presenza di un operatore.
Dal punto di vista strettamente tecnico, i mantici, con l’insufflaggio alternato, non garantivano una ventilazione omogenea e, di conseguenza, l’uniformità della temperatura all’interno dei forni, con ripercussioni negative sulla qualità della ghisa prodotta.
Le trombe idroeoliche consentirono di superare tutti questi inconvenienti (grande forza motrice, onerosità delle manutenzioni, presenza costante di un operatore o animale, eterogeneità di ventilazione), ma il problema dell’elevato tasso di umidità presente nell’aria e che faceva intirizzire il metallo, portò prima alla sperimentazione di un sistema di pulegge idrauliche e più tardi all’introduzione delle macchine a vapore.
Guido Assoni
Riferimenti bibliografici
Catastico della Città di Brescia et suo territorio – Giovanni Da Lezze – 1609;
Cosa stupenda et degna d’essere veduta – la tromba idroeolica in Valle Sabbia agli inizi del Seicento - Giancarlo Marchesi – 2003;
Viaggio all’interno di Lavenone – Michela Bonardi/Gian Fausto Salvadori – 1994;
Meccanica applicata alle macchine – Umberto Meneghetti