19 Marzo 2015, 06.26
Bione
Valsabbini

Il Seti di Bione: un volto, mille racconti

di Mirella Prandelli

Mi accoglie nella sua casa, a due passi dalla piazza di Bione dove si faceva il bucato alle fontane. Pane e salame e un bel bicchiere di rosso sul tavolo


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Non ha ben capito perché lo voglio intervistare, di cosa scrivo e per chi lo faccio, ma non gli interessa: inizia a raccontare.
Settimo Martinelli: solo il nome è tutto un programma. «Ero il settimo dei figli, come avrebbero potuto chiamarmi sennò?»

Classe 1932, nato a Bione-Bersenico Sotto
, il Seti (alias zio Golia) conduce una vita tranquilla, sorride sempre e si sposta su un vespino personalizzato con pratici inserti rudimentali.
Zio Golia per tutti, anche per chi non è nipote: il suo modo di salutare lo cerca nelle tasche, dalle quali estrae le storiche caramelline nere incartate una ad una di verde e bianco, che nemmeno si sa più dove le vendono.
Non so se sia più probabile che abbia le tasche magiche ed infinite o che faccia rifornimento tutte le mattine prima di uscire. In ogni caso, non ne è mai rimasto senza.

Oltre che per le golie e un rapporto alla “prova a prendermi” con la guardia forestale, Seti è conosciuto per la sua abilità nell'inserire ornamentali scalette a pioli nelle bottiglie di grappa.

«Quando avevo 13 anni c'era la guerra», comincia da qui, senza nemmeno pensarci.
«Ai fascisti serviva qualcuno che portasse le munizioni fino a Casto, dove si erano stabiliti, così me ne diedero un cassone pieno, insieme ad un paio di calzoni lunghi, che io non li avevo mai visti!».
Nessun lieto fine: si prese diverse frustate sulla schiena perché era caduto lungo il sentiero.

Le due sorelle si sono sposate, due fratelli sono emigrati in Argentina e gli altri due in Australia.
«Feci domanda per lavorare in Australia e in Francia, ma non mi presero, così rimasi qui. Lavoravo in fabbrica a Odolo e facevo il muratore.
All'epoca c'era tanto da costruire, si lavorava per farsi la casa!»

Compiuti i 21 anni, andò militare. Tre mesi di CAR a Merano, corso e brevetto da paracadutista a Viterbo e specializzazione in roccia ed arrampicata in Valle D'Aosta.
«Ma nella sezione Alpini?», chiedo incuriosita. Lunga pausa: «Ah! Alpini per sempre!», esclama con fervore, mostrandomi fieramente le foto delle parate, il gagliardetto e il cappello con la penna nera e tutti gli stemmi.

Tornato nel 1965, si sposa con Silvana, con la quale sfiora i 45 anni di matrimonio.
Negli anni da marito, fece due professioni: lo stradino e il hotra morch. «Come si dice in italiano? Seppellitore?» si chiede perplesso.

Vada per il hotra morch.
Gliene sono successe di tutti i colori. Una su tutte, la notte in cui, per fare un favore al sindaco di allora, dovette scendere nella cripta per cercare un teschio da regalare all'amico dottore. Impaurito, si apprestò al compito, quando all'uscita, sentì tirare con forza i capelli. Scappò via terrorizzato. Solo l'indomani scoprì che si trattava di un gancio nel soffitto.

I ricordi dello stradino sono di gran lunga più sobri.
Mi racconta di quando l'acqua a Bione mancava e di come la si trasportò dalle gallerie di Lumezzane attraverso 7 km di tubi volanti ("alberodotto" lo chiamarono), che in inverno si ghiacciarono tutti.

Due viaggi in Argentina e due episodi per cui ha rischiato la vita.
Prima, un cancro allo stomaco (lo scrivo con la facilità e la naturalezza con cui mi è stato raccontato).
Poi, un incidente mentre segava il prato. È caduto, aprendosi un braccio. «Ah ma mi son trovato benissimo al ricovero di Nozza! Mi hanno preso la pelle dalle gambe per riparare il braccio!» e via così, che si potrebbe scrivere un libro.

Ho bisogno di un confronto per finir come si deve: «Avrai visto il mondo molto cambiato, da quando eri bambino. Cosa ne pensi?»

«I bambini ai miei tempi erano tutti molto felici. C'era sempre da mangiare per tutti, anche se non esistevano le botteghe: io ero di una famiglia ricca, se si conta che avevamo mucche  e capre. Latte, burro, patate e uova in tavola tutti i giorni. Le scarpe non ci servivano, al fienile si camminava scalzi. Oggi c'è più benessere, senz'altro; ma una volta, ci si voleva tutti un po' più bene.»




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