15 Aprile 2014, 08.03
Terza pagina

L'ultimo dei trovatori 1 di 3

di LoStraniero

Se non fossi salito sul Monte forse quel giorno non mi sarei trovato lì, su quella panchina del Parco dei Fiori della città di Cantessa...


...Mi chiamo Giovanni du Vent.
Per la verità io non mi chiamo mai, sono gli altri che mi chiamano, anzi mi chiamavano, perché oggi non mi chiama più nessuno.
Mi chiamavano Giò con la “o” chiusa di giovane.

Quella mattina io e Ringhio avevamo percorso tutte le vie del parco, da via delle Ortensie a via dei Rododendri, da via delle Dalie a quella dei Gigli, dei Tulipani e delle Gardenie. Di fiori però niente, solo sterpi.
La zona era cosparsa di arredi urbani in conglomerato di cemento e ghiaia; tutte forme di geometria solida: sfere, cilindri, cubi, piramidi e loro varie combinazioni.
Se l’avessero chiamato Parco della desolazione, sarebbe stato meglio.

La panchina che occupavo era una specie di semitorta con l’arco in basso, sorretta ai lati da due cilindri verticali per tenerla ferma.
Ringhio, seduto davanti a me, mi guardava con l’aria di chi volesse interrogarmi.
Era un piccolo cane, bianco pezzato marron, che un giorno prese a seguirmi: cercai di scacciarlo più volte, ma reagiva con ringhi. Aveva deciso di stare con me.

Quel cane era un po’ strano, aveva qualcosa di misterioso, non di animale.

°=°

Il Monte mi s’imponeva alla vista tutte le mattine quando mi recavo al lavoro a Marezia.
Dalla salita del cavalcavia, che percorrevo in auto, mi si presentava tutto intero, dalle pendici più basse fino alla cima, dove s’intravvedevano zone scure come di grotte forse o di rifugi, indistinti per la lontananza.
Aveva una forma elegante, una specie di albero sefirotico gigantesco.
Dai vari versanti vi salivano molti e per vie diverse.

Io non vi ero mai salito. La ritenevo una fatica inutile e poi non avevo tempo: ero sempre di corsa.
Quel monte non aveva un nome. Essendo unico nella zona (a perdita d’occhio non si scorgeva nessun altro rilievo) non era necessario affibbiargli un nome che, come si sa, sarebbe servito solo a distinguerlo da un altro che però non c’era e non c’è.
Pertanto tutti lo chiamavano il Monte.
°=°
Il periodo abbastanza lungo che ho trascorso a Marezia lo ricordo mal volentieri, anzi a volte non lo ricordo affatto: tendo a rimuoverlo dalla mente.
E’ stata la “selva oscura” della mia vita.
Ero sempre sotto pressione per un lavoro alienante che non dava soddisfazione se non economica e per il comportamento opprimente di quasi tutti i capi che si sono succeduti e che stressavano i dipendenti al solo scopo di far carriera, non per l’azienda.
Mi ero perfettamente integrato in quell’ambiente falso, privo di valori, che impediva di ricercare le ragioni dei comportamenti. Due terzi del tempo erano impiegati nel dissimulare errori della dirigenza.
Mi ero chiuso alla riflessione sulla realtà e non intervenivo per il timore di dispiacere gli altri e perciò mi astenevo, facendo finta di non vedere per non svelare il mio disappunto, la mia pusillanimità, contribuendo così alla costruzione di quel simulacro ipocrita e paralizzante dei comportamenti difensivi.
Voci di dentro rimproveravano la mia apatia. Io le soffocavo.
Ma perché si finisce per fare tutto il contrario di quello in cui si crede?
Anche queste voci mi davano fastidio. Tutto mi dava fastidio.
Ero riuscito a costruirmi una corazza contro questi eventi perturbatori che mi disturbavano e che accentuavano il mio stress.
Mi difendevo anche dai sentimenti.
Avevo adottato una vera e propria strategia.
Cercavo di non rimanere mai da solo con me stesso.
Avevo piazzato nella stanza da letto un televisore che accendevo tutte le volte che mi svegliavo di notte e fossi assalito da pensieri.
Quando viaggiavo in auto, accendevo sempre la radio per non essere afflitto da domande.
Mi ero comportato verso me stesso come il personaggio più cattivo dei Promessi sposi: il Conte di Monza Martino de Leyva, padre di Marianna alias Gertrude.

°=°

Un giorno però avvenne un fatto straordinario che incise profondamente e frantumò la corazza protettiva che mi ero costruita.
Mi sentii come nudo in mezzo a una piazza affollata senza che nessuno mi lanciasse un indumento qualsiasi per potermi coprire.
Mentre mi recavo al lavoro, prima del cavalcavia, ricorsi alla mia solita routine difensiva: accesi la radio per non pensare.
Trasmettevano una canzone dal titolo “Serenatella a 'na cumpagna 'e scola”.

A un certo punto la canzone, (qui da me malamente tradotta dal napoletano) faceva:

“Troppi anni son passati, il tempo vola
e adesso sono tanti che mi stanco di contarli
ma come fosse ieri, mi pare di vederla
allo stesso banco proprio accanto a me
……..
Vita, vita sbagliata
che ho perduto
che ho lasciato.
Ma che ci penso a fà?
Dove la trovo adesso quella felicità
che mi poteva accompagnà?
…..”.

Anch’io amavo una compagna di scuola e quelle parole ebbero lo stesso effetto di quelle di Francesca nel quinto canto della Divina Comedia: “Galeotto fu il libro e chi lo scrisse”.
Mi trovavo, allora allora, sul cavalcavia e il Monte mi apparve in tutta la sua imponenza.

Andai completamente in tilt. Mi dovetti fermare.
Non so quanto tempo rimasi lì, ai bordi della strada, nella macchina a radio spenta, privo di una pur minima capacità di pensare e di muovermi, come paralizzato.
Quando mi riebbi un po’, tornai indietro.

Non andai più a Marezia, né quella mattina, né dopo.
Decisi di salire sul Monte.

(continua)




Commenti:
ID43627 - 15/04/2014 10:26:46 - (sonia.c) - grazie a lo straniero..

ci sarebbe cosi tanto da commentare nei tuoi scritti..scelgo la frase:aveva adottato una strategia;cercavo di non rimanere mai solo con mè stesso..mi viene in mente il giovane,l'adolecsente che, attraverso le cuffiette della musica sparata a "palla" ,si nasconde.anche quando deve fare uno sforzo mentale di concentrazione come studiare! quante difese,quante strategie per distrarci da noi stessi..anche se la musica resta la più piacevole e importante,per mè,spegnere lo stereo (fino al punto che chi mi conosce ne è restato stupito!ma come mai?)è stato il segno evidente di un traguardo:non avevo più paura dei miei pensieri.stavo bene nel silenzio .anzi! potevo concentrarmi ,solo,nel silenzio! la musica per mè adesso,è legata all'attività,al fare e disfare casalingo che ha bisogno di energia..un bacio allo straniero..

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