10 Aprile 2014, 08.47
Terza pagina

Morale e Immorale Secundum o Simpliciter?

di Dru

La presa di posizione sull'intenzione, o indipendenza da ogni intenzione, è per se stessa un'intenzione e ogni intenzione é base per informare della morale e dell'immorale, ma secondo la "propria" morale e non della morale "simpliciter"


Ciò che non è nelle nostre intenzioni é immorale se a quelle intenzioni conseguono azioni che ci sfavoriscono e ciò che lo é é morale, se a quelle intenzioni seguono azioni che ci favoriscono, appunto indipendentemente le intenzioni da cui dipendiamo necessariamente ma dipendentemente gli effetti delle nostre azioni che producono la nostra esistenza per come la pensiamo.

Dire quindi che chi agisce agisce nel campo dell'immoralità é di colui che dice delle intenzioni dell'altro come non convenienti le proprie, è dire per forza di una guerra o di un'opposizione, come direbbe Eraclito, che è guerra e opposizione come essenza di ogni "esser cosa".

Ma non dice, questo dire, dell'appartenenza in assoluto di un individuo in un campo che possiamo definire immorale, se non per quell'intenzione che non ci conviene.

Tutto questo supposto che non crediamo più, appunto, alle leggi superiori o verità eterne, tutto questo per il vero relativismo.


La capacità nella visione moderna non è più quell'azione che determina per tutti cosa é morale e cosa immorale, non è più quella di seguire un bene superiore dettato da una divinità o da uno Stato, Bene che é  riflesso nelle leggi della Polis ad esempio, per cui é immorale ciò che le viola, ma quella di soffocare e annichilire ciò che ci limita, in primis proprio quelle leggi, per una potenza che vede nello scioglimento di ogni legame, di ogni legge, la vera potenza, il vero relativismo.

Il dire della tradizione dice appunto che non possiamo che scegliere per il bene se vogliamo essere morali, anche quando appunto questo dire dice indipendentemente da ogni intenzione.

(Ci sarebbe bisogno di riflettere sul significato di Scelta e soprattutto di Bene.Ma andiamo oltre...)

Dunque, questa proposizione alla luce di quanto abbiamo ora specificato, soprattutto quando questo dire dice "non potendo esimersi da una scelta, l'uomo l'ha fatta per il campo dell'immoralismo piuttosto che per il moralismo",  dà notizia dell'uomo della tradizione che vede nel dovere morale una legge definita per norma (diritto), legge che indica i limiti che non devono essere oltrepassati da chiunque, limiti definiti tramite le leggi di un Dio prima, della Polis poi e di qualunque sistema o struttura che intenda imporsi e imporre regole e leggi predestinando a sé, tramite ogni legge, ciò che viene definito morale da ciò che non lo é.

Solo in questo senso il dire di una scelta di campo è coerente, non si contraddice, è nel giusto con il dire della tradizione.

Ma è un dire che tramonta, perché questa verità (potenza) é al suo tramonto quando è il relativismo vero a dominare.

Il dire dell'uomo moderno, descritto bene dal pensiero del suo sottosuolo che è della filosofia del nostro tempo quello di Nietzsche o di Leopardi, dice di una scelta di campo che non è una scelta per l'immoralismo, se non per chi crede di essere nel campo avverso, quindi non amorale simpliciter, non in assoluto, ma relativamente.

Sta qui di vedere che siamo dentro la logica di forze che si contrastano per il potere indipendentemente dalle intenzioni appunto che non per forza deve essere il Bene o la Sapienza della tradizione, sta qui il vero relativismo.



Commenti:
ID43562 - 10/04/2014 14:25:26 - (Aldo Vaglia) -

Da Autorita' ed Individuo Di Bertrand Russell : " La morale personale e quella civica sono entrambe necessarie: senza una morale civica le comunita' periscono; senza una morale personale, la loro sopravvivenza non ha alcun valore".

ID43563 - 10/04/2014 14:32:52 - (Dru) - Sono entrambe necessarie appunto

E la morale civica per l'Autorità e la morale personale per l'individuo e "l'entrambi" per Bertrand Russell, che parla sono tre enti appunto, si tratta di vedere se questi tre enti sono necessari o se per ognuno dei tre l'altro non-è o è possibilmente e non necessariamente.

ID43564 - 10/04/2014 14:37:33 - (Dru) - Se crediamo al senso delle cose come possibili e non come necessarie...

...,allora la necessità, dettata nelle parole di Rusell, ha la consistenza di un'Autorità e non di una Verità. Le Autorità vengono subito mal sopportate dalle altre Autorità. Ecco la Guerra.

ID43565 - 10/04/2014 15:28:46 - (Dru) - Necessari entrambi significa

che non sono possibili l'uno senza l'altro,ma l'uno è se l'altro è.Ma se noi siamo sempre più "con-vinti" che le cose non sono necessarie ma sono possibili, questo il pensiero della scienza, questo il pensiero del vero relativismo, ecco che quella necessità o vincolo tra le cose è sciolto e chi vuole tener unito ciò che per significato è sciolto lo tiene unito per Autorità e le cose non sono più veramente necessarie, ma sono giustapposte e sempre esposte all'abisso del Nulla.

ID43576 - 10/04/2014 17:41:48 - (Leretico) - la scelta

Ho già premesso altrove che l'uomo, se è volontà di vivere, non può che scegliere. Scegliere implica necessariamente una conseguenza etica, un campo morale in cui le conseguenze di tale scelta cadono. Vorrie aggiungere che molto spesso le scelte umane non sono razionali, ossia è stato ampiamente dimostrato che l'idea che la scelta umana persegua un fine stabilito in modo razionale e preciso è priva di fondamento. Pensare che l'uomo persegua sempre e comunuqe il fine di massimizzare la propria potenza, alleandosi via via con chi è ritenuto il più potente del momento(Dio, la tecnica o altro), in ogni scelta ch fa, è quindi poco plausibile in termini generali. Se quanto detto è vero, allora cade qualsiasi teoria che prevede non solo tale impostazione, ma anche le sue conseguenze: destino della tecnica al dominio, tramonto dei valori tradizionali e dell'episteme in generale. Cade inoltre l'intenzione strumentale e

ID43577 - 10/04/2014 17:47:52 - (Dru) - Nei Topici Aristotele scrive così della definizione di morale.

Occorre poi dire che cosa sia definizione, che cosa sia proprio, che cosa sia accidente. La definizione è un discorso che esprime l'essenza individuale oggettiva... (101b riga 38-39-40, pag 411 del Colli) Bisogna tuttavia ammettere come simili a definizioni altresì espressioni di una certa natura, ad esempio che "moralmente bello è il conveniente". (102a riga 5-6-7, pag411 del Colli). Ecco che anche Aristotele riconosce che il morale è il conveniente, come d'altronde mi sembra banale e fallace nel definirlo diversamente.

ID43578 - 10/04/2014 17:49:17 - (Leretico) - continua

nichilistica di affemare che ciò che l'uomo dovrebbe fare è allearsi con la tecnica facendo a meno, anzi contribuendo fattivamente, alla distruzione dei valori epistemici della tradizione. Mi spiego meglio: se è dimostrato che l'uomo nelle sue scelte non è quasi mai razionale né logico, allora il consiglio, da coerente nichilista, di distruggere l'episteme, Dio, i valori di convivenza civile, il diritto naturale in nome della potenza della tecnica e di conseguenza della propria, contro la morale e per l'immoralismo che porti un vantaggio all'uomo in grado di renderlo vincitore e non perdente, non ha senso.

ID43579 - 10/04/2014 17:55:21 - (Dru) - che l'uomo non persegue non ci piove.

Ma altrettanto, che l'uomo voglia perseguire non ci piove. Nessuno agisce contro di sé, nemmeno il suicida, certo per la società il suicida agisce contro di sé, ma per il suicida questo non è affatto vero. Il suicida vuole liberarsi della vita, è, in questo, la coerenza massima del mortale, colui che vuole morire, colui che pensa che la massima potenza sia la morte, il suo miglior alleato, sia la morte. Il morlmente giusto è il conveniente, al suicida, come mortale, conviene la morte, è moralmente bella.

ID43581 - 10/04/2014 18:19:19 - (Dru) - l'azione come l'irrazionale,

...è nella natura della definizione di azione che c'é appunto il senso della scelta e della volontà. L'agire umano, per quanto irrazionale lo si possa definire, è un agire che "crede" di agire per il meglio, poi se al razionale si sostituisce l'emotivo o l'animalesco, poco importa, confondere il fine, o finalismo con il mezzo, confondere il risultato con l'incominciamento è errore. Il risultato di un azione non è quello che l'incominciamento o il mezzo vuole ottenere, proprio perché il volere del cominciamento o del mezzo è differente, nell'azione, del fine dell'azione stessa. In questo ogni azione è irrazionale, nella sua natura.

ID43582 - 10/04/2014 18:27:28 - (Dru) -

tutto questo non ha nulla a che fare con le tue conclusioni strampalate. Non c'é uomo o volontà che dice cosa si debba fare, ma è nel senso dell'uomo e della volontà che si legge il destino della necessità. Se la volontà vuole allora c'é azione dell'uomo, se l'uomo, secondo il significato che si dà delle cose, vuole vivere, allora si allea a ciò che crede essere la massima potenza, certo i drogati credono che la massima potenza siano gli Spinelli o l'Eroina, ma i drogati sono un particolare dell'universale e comunque sono, nel loro specifico, un buon esempio di cosa voglia la volontà.Appunto credere di allearsi con ciò che ci rende felici e potenti.

ID43583 - 10/04/2014 18:40:11 - (Dru) - Se l'uomo non credesse di agire per il meglio non agirebbe.

Se l'uomo che vuole aprire la finestre, prima di aprirla non conoscesse cosa significhi aprire la finestra e non fosse convinto, in questo suo conoscere che agendo aprirà la finestra, allora non muoverebbe un muscolo. Ecco, questa convinzione è l'annullamento di ogni dubbio introno all'azione che si prefigge di compiere è il nichilismo che determina l'azione umana, credere di agire per il meglio, cioè credere che ogni problema che si frapponga tra il mio alzarmi per andare alla finestra ed aprirla non esista.Questo significato di potenza, questo significato di potere, all'interno della fede appunto, della fiducia nei miei (propri) mezzi, o convin-zione (=conviene azione = azione che conviene= moralmente bello è il conveniente) è l'azione.

ID43584 - 10/04/2014 18:46:11 - (Aldo Vaglia) -

Per Russell gli enti sono due: societa' ed individuo (il terzo non lo vedo). " C'e' sempre stato, sin dai tempi piu' antichi, un dualismo tra attivita' dell'uomo e le attivita' della societa', cosi' che alcuni istinti dell'individuo venivano soppressi dai bisogni del gruppo, e viceversa alcune necessita' della societa' venivano bloccate dai singoli"...Il genio e la liberta' potranno creare un mondo migliore secondo Russell, ma la liberta' la possono dare solo i gruppi e un singolo non se la puo' prendere.

ID43585 - 10/04/2014 18:55:20 - (Dru) - Il terzo Aldo è la necessità o relazione fra i due Enti

è proprio del nichilista non vedere la "relazione" e quindi per Autorità, e non per Necessità ( il destino della necessità appunto), che vuole unire i due enti, ma infine non vi riesce.

ID43588 - 10/04/2014 19:15:28 - (Dru) - Russell vuole indicare una necessità per altro non riusciendovi che con Autorità

All'interno del pensiero nichilista appunto, all'interno del senso della cosa che oscilli tra l'essere e il non essere, poichè, così come i due enti e cioè come è per l'individuo che può esser come non essere e la società che può essere co e non essere, così è la relazione fra i due.

ID43589 - 10/04/2014 19:25:42 - (Aldo Vaglia) -

Tu puoi dare alle parole l'estensione che credi e quindi gli enti sono infiniti. Ma se si parla di dualismo faccio fatica a immaginare tre enti. Sono pero' convinto che la colpa sia mia perche' sono "nichilista".

ID43590 - 10/04/2014 19:41:23 - (Dru) - Scusa Aldo

nel dualismo vi sono le due cose che definiscono il dualismo e infine il dualismo, la loro definizione o relazione, non credi ?

ID43591 - 10/04/2014 19:49:20 - (Dru) - Come

Nell'insieme di tutte le cose che contate fanno due ci sono le due cose e l'insieme. Ecco il nichilista non vede che nell'apparire di questa definizione vi siano i tre enti da contare ma ne conta solo due, annichilisce il terzo termine che è sempre la relazione fra i due, non riconosce quell'apparire dell'apparire che è l'esser sé dell'essente che appare.

ID43592 - 10/04/2014 19:58:30 - (Aldo Vaglia) -

Il tuo concetto mi e' chiaro, ma non mi risolve la questione se serve o non serve una morale pubblica e una morale privata.

ID43593 - 10/04/2014 21:33:57 - (Dru) - Ciò che serve serve sempre un padrone,

Aldo, a proposito del pubblico e del privato, e Leretico, a proposito del vincente come espressione della volontà o fede. Questo bisogno di servitù ha nella dialettica vincente perdente, o servo padrone, la sua radice.È sempre meglio per un padrone avere diversi servitori e è sempre meglio per un servitore avere un solo padrone, dice la Bibbia che nessun servo può servire a due padroni. Qui se il servo è la morale Aldo fai tu..., la società è sempre più individualista e frammentata.

ID43594 - 10/04/2014 23:18:06 - (Dru) - Ho inteso dove sei fallace Leretico nel tuo ragionamento.

Identifichi la potenza con la razionalità, infatti questa è la potenza secondo il pensiero della tradizione, ma non la potenza secondo l'azione, che è nata in seno al discorso razionale della metafisica sul senso della cosa. Si, la Sapienza della tradizione, la filosofia o metafisica, identifica la potenza con la razionalità, ma l'irrazionalità è impotente per la razionalità e non per il pensiero che non identifica appunto più con la vera potenza la razionalità, questo oggi è il pensiero dominante o relativismo. Anche se ancora implicitamente, per questo lo si identifica nel sottosulo, questo pensiero considera la ragione come ogni altro limite un ostacolo alla potenza se questa, di conseguenza, non può agire.

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