29 Dicembre 2013, 08.00
Filosofia

Educazione e masochismo

di Alberto Cartella

Una riflessione sul contratto masochista come espressione non soltanto della necessitŕ del consenso della vittima, ma anche del dono della persuasione, la spinta pedagogica e giuridica mediante la quale la vittima educa il proprio carnefice

 
Appartiene essenzialmente al masochismo l’esperienza dell’attesa e della sospensione. Si tratta del punto della vergogna intesa come sentimento fondamentale preso nella sua accezione casuale.
 
Il masochista è moroso, ma la parola moroso significa innanzitutto il ritardo. Il complesso piacere-dolore è insufficiente a definire il masochismo; ma anche l’umiliazione, l’espiazione, il castigo, la colpa non sono sufficienti. Credo sia importante negare in modo fondato, cioè usare la negazione come modo dell'affermazione, che il masochista sia un essere strano che trova il proprio piacere nel dolore. Gli è semplicemente necessario un dolore preliminare come condizione indispensabile per il raggiungimento del piacere.
 
Il masochista è tenuto solamente dalla sua parola. Il contratto masochista non esprime soltanto la necessità del consenso della vittima, ma anche il dono della persuasione, la spinta pedagogica e giuridica mediante la quale la vittima educa il proprio carnefice. Sta proprio in questo punto, il quale è (come si diceva all’inizio dell’articolo) un punto di sospensione, il suo legame con l'educatore e quest’operazione non è esente da rischi: gli educatori devono tenere in conto di fallire o di ottenere risultati inaspettati, soprattutto quando lavorano con l'idea.
 
L'idea non è il concetto, ma si distingue dall'identità del concetto come molteplicità differenziale per sempre positiva. L'idea libera la differenza e la fa evolvere in sistemi positivi in cui il differente si riferisce al differente, facendo del decentramento, della disparità, della divergenza oggetti di affermazione che rompono il quadro della rappresentazione concettuale.
 
L'educatore non lavora con persone e con la risoluzione di esse nel proprio giudizio, ma fa degli incontri e si lascia attraversare dal desiderio del lasciar agire la passione differente degli altri senza preoccuparsi di rapportarla alla propria. É quest'assenza di rapporto che lascia libero lo spazio del proprio fallimento, il quale è l'unico spazio dell'educazione. Educare vuol dire fallire.
 
L’assenza di rapporto è proprio l’essenza dell’incontro, nel quale non si parte da una rappresentazione che si ha, ma si rimane sospesi nel punto di rottura di essa. L'educatore ha a che fare col problema, il quale è extra-proposizionale, differisce essenzialmente da ogni proposizione. I problemi non sono dati già pronti e non scompaiono nelle risposte o nella soluzione. Il problema lo sento, mi attraversa. La riflessione è successiva.
 
Credo che non sia il caso di chiedersi perché l'evento d'infanzia agisca soltanto in ritardo. L'evento è il ritardo, ma a sua volta il ritardo è la forma pura del tempo che fa coesistere il prima e il dopo. La ripetizione è una condizione dell'azione prima di essere un concetto della riflessione. La ripetizione è il pathos e la filosofia della ripetizione è la patologia. Ma ci sono tante patologie, tante ripetizioni intrecciate le une nelle altre.
 
Queste considerazioni sono state rese possibili dal guadagno di pensiero che ho ricevuto dal filosofo francese Gilles Deleuze.
 


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