04 Ottobre 2007, 00.00
Odolo
Rifiuti tossici 1

«Trattavano ferro e fluff contaminati»

La Procura di Napoli chiude tre stabilimenti tra Bedizzole e Odolo: la Faeco, con i suoi impianti di stoccaggio e le due unitŕ produttive della Ferriera Valsabbia a Odolo e a Sabbio Chiese.

Parte da lontano e arriva addirittura a bordo dell’elicottero dei Carabinieri del Noe. Piomba di prima mattina, poco dopo l’inizio del primo turno, a Odolo, Sabbio Chiese e Bedizzole su ordine della Procura di Napoli.
Si traduce in una giornata senza fine, fatta di contestazioni, carte e sigilli, che si chiude al tramonto con il sequestro preventivo di tre importanti stabilimenti: le due acciaierie Valsabbia e la discarica Faeco.
Si chiama «Dirty Pack». Si tratta di un’inchiesta della magistratura partenopea su un traffico di rifiuti pericolosi partiti dal 2004 a oggi da Frattaminore, smerciati come materia prima a norma e portati negli stabilimenti del Nord come rottame e fluff (la parte non ferrosa delle automobili) puliti.

Di pulito, però, per il pm Maria Cristina Ribera, non c’è nulla. Anzi. Il rottame portava con sé elevate quantità di policloro bifenile (Pcb). Sporchi anche i documenti con i quali questo veniva veicolato. In sostanza la Commet, azienda di rottamazione di automobili con sede a Frattaminore, non provvedeva a ripulire le carcasse delle vetture da sfasciare giunte da tutto il mondo. Si limitava a cambiare i codici di accompagnamento: a ripulire la facciata, non la sostanza per risparmiare così il denaro necessario per trattare i rifiuti tossici, prima di immetterli in circolazione.

Ferro e fluff, contaminati da oli, carburanti e gomme, venivano caricati sui cassoni dei camion di Italia Trasporti, così come venivano accolti nello stabilimento di Frattaminore. Da qui raggiungevano prima il Friuli, poi la Lombardia senza perdere, durante il trasporto e le fasi di lavorazione, tutto il loro potenziale inquinante. Nel macinatore della Siderurgica di San Giorgio di Nogaro (azienda che fattura cento milioni di euro) le balle di lamiera venivano passate al frantoio, sminuzzate e selezionate. Ma, secondo l’accusa, non ripulite. La quota ferrosa raccolta veniva poi spedita a Odolo, dove veniva fusa; mentre il fluff era inviato per lo stoccaggio alla Faeco di Bedizzole.

Ad accorgersi del rottame tossico, in un primo momento, fu la Polizia stradale di Verona. Durante un normale controllo gli agenti si resero conto che il materiale trasportato non corrispondeva a quello dichiarato dai codici. In sostanza non si trattava di scarto trattabile con procedura semplificata, la stessa per la quale sono autorizzate tanto la Valsabbia, quanto la Faeco. Ma di altra sostanza, ben piĂą inquinante e meritevole di una diversa e maggiore attenzione.

Secondo l’accusa la falsificazione dei documenti non era operazione sporadica, bensì attività consolidata, routinaria e finalizzata a soddisfare una logica economica che, secondo gli inquirenti, avrebbe fatto circolare migliaia di tonnellate di rottame e fluff contaminati e fruttato dieci milioni di euro.
Il tutto, per l’accusa, sarebbe avvenuto sotto gli occhi e con la complicità degli acquirenti e di chi era chiamato a smaltire il prodotto in questione.
Per la procura partenopea anche costoro, quindi la ferriera di Odolo (che però non acquista rottame dalla Commet dall’inizio dell’anno), e lo smaltitore di Bedizzole sapevano di avere a che fare con scarti pericolosi. Per i magistrati infatti era chiaro, anche a colpo d’occhio, che il rottame che arrivava nei loro stabilimenti non poteva essere quello indicato dal codice di accompagnamento.

L’inchiesta culminata ieri nel blitz del Nucleo di tutela dell’ambiente dei carabinieri di Brescia, Udine, Caserta e Napoli, non ha portato solo alla chiusura degli stabilimenti bresciani, allo spegnimento del forno di Odolo e alla cassaintegrazione di più di trecento dipendenti, ma anche all’iscrizione nel registro degli indagati di quindici persone. Le accuse per i vertici delle aziende coinvolte e per alcuni pubblici ufficiali vanno, a vario titolo, dal traffico organizzato di rifiuti pericolosi, ai falsi in atti pubblici, agli abusi d’ufficio alla truffa aggravata a danni dello Stato.
Nell’elenco degli indagati sono finiti anche il legale rappresentante della ferriera Valsabbia e quello della Faeco, oltre alla direttrice tecnica della stessa discarica di Bedizzole.
Nessuno può per il momento dire quando gli stabilimenti torneranno a lavorare a pieno ritmo.
Quando i sigilli apposti ieri mattina, al termine di operazioni che hanno visto impegnati numerosi militari dell’Arma, e che non sono certo passate inosservate a Odolo, Sabbio e Bedizzole, saranno levati.
A quanto si è appreso sono stati nominati dei curatori e i magistrati hanno previsto che le aziende potranno continuare a funzionare se dimostreranno la liceità delle loro attività. Cosa della quale sono sicuri i protagonisti della vicenda che si dicono pronti a dimostrare la loro estraneità alle accuse.

Pierpaolo Prati dal Giornale di Brescia


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