Quaresima al tarassaco

 

Quando l’inverno ed il gelo si dimentica di esser mordace, un giorno che l’erba da grigia si sveglia appena più tenera di un timido verde e si alza un poco dalle zolle della neve sciolta ecco il momento di partire.
L’esperta si mette stivali, studia un prato al sole sonnacchioso di qualche nuvola passeggera e cerca la più umile delle borsine di plastica,si arma di un coltello e parte.
 
E’ un lavoro silenzioso, timido come tutte le attività della montagna, da piegarsi in due e scavare con il coltello a raccogliere il fondo della radice di quell’erba preziosa, amara e filacciosa che nella pentola bolle come una parrucca rovesciata.
 
Croce e delizia, le mani nell’acqua a sciogliere zolle di terra che corrono nel gorgo di lunghi e scrupolosi risciacqui, l’erba che sveglia il fegato ha tempi inestimabili per la sua preparazione a cottura.
 
Così le donne hanno di che fare, come al solito si dirà, chi alla fontana mentre passa un refolo d’aria ancora rabbrividente, chi in cucina, a mondare montagne d’erbe.
Se mangiato troppo presto, prima dell’ultima neve ancora un rimasuglio di dolce, il tarassaco prelibato ha atteso il tempo giusto quando si strugge in bocca l’amaro e senti che la primavera è arrivata.
 

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