A Bagolino si verifica da tre anni un fenomeno che contrasta l’abbandono della montagna: la presenza di giovani nelle malghe che hanno deciso di continuare l'antica tradizione.
Marco Melzani ha appena terminato di estrarre dalla caldera una forma di Bagoss, o almeno quell’ammasso caseoso ancora informe che, salato, coccolato e stagionato, diventerà Bagoss. La massa che va nella fascera (che, oltre a dare la forma cilindrica al formaggio, imprimerà nello scalzo il marchio depositato del Bagoss «vero» e la data di produzione) è ancora candida.
Eppure Marco ha già aggiunto con il caglio quel pizzico di zafferano che rende giallo oro la pasta del formaggio. Completata l’operazione e pressato bene il tutto, perché per ottenere del superBagoss occorre spurgare con grande cura il siero, Marco si concede una pausa davanti al casello della Malga Misa di proprietà di famiglia, i Melzani.
Il panorama che ha davanti è da lasciare con il fiato sospeso, ma Marco forse c’è abituato. Dopo le scuole dell’obbligo ha seguito le tracce di papà Faustino, un produttore superpremiato di Bagoss e così siamo alla settima generazione di Melzani.
Ora Marco Melzani ha 38 anni, una famiglia e due figli, ma non è affatto pentito della scelta non comune di continuare a fare l’allevatore. La vita certo è dura, ma a suo dire non poi durissima. Del resto la malga Misa si raggiunge in fuoristrada e quindi un salto a Bagolino (ma ci vuole un’ora andando di fretta) lo si può sempre fare. Con la famiglia ha aperto un posto di ristoro dove mamma Savina stupisce i commensali con dei tortelli al Bagoss da far resuscitare i morti.
Detta con franchezza e senza la pretesa di fare i conti in tasca a nessuno, Marco Melzani, malgrado la sveglia alle 3 del mattino, fa la vita dell’imprenditore. Vendere il formaggio ha consentito di realizzare la trattoria e di fare qualche altro progetto di investimento. Gli animali però hanno le loro esigenze, così l’idilliaco quadretto è rovinato da Sergio Melzani, il fratello più anziano, che si presenta con due secchi annunciando che si devono mungere le capre.
Roba di due ore, così il tempo per un boccone ci sarà solo alle 14. Ma le ricottine di capra della Misa sono una delizia e non si fa a tempo a produrle che sono vendute.
Alle malghe di Bagolino si arriva ormai con auto fuoristrada, anche se con qualche capogiro per chi non ha familiarità con il fuoristrada tosto, ma ce ne sono tre ancora collegate da sentieri.
Gianluca Buccio, 23 anni, che le gambe le ha lunghe e allenate non ci metterà meno di un’ora a raggiungere i genitori alla malga Casaole, un angolo da cartolina nella zona dei laghetti di Bruffione, con un sacchetto di pane fresco e il Giornale di Brescia della mattina.
Perito meccanico dice di aver lavorato solo 23 giorni in fabbrica, poi il richiamo della mandria ha prevalso. O forse ha prevalso il richiamo di un buon reddito a patto che non si vogliano contare le ore di lavoro.
Male, economicamente, non deve andare alla famiglia Buccio (Mario Buccio, il capofamiglia, è un artista del Bagoss) perché i due figli, Gianluca e la sorella, hanno rilevato il Bar Bruffione, proprio sulla strada che sale al Gaver cui hanno annesso un negozietto in cui vendono anche i loro formaggi. Ma, chiarisce Gianluca, il bar non esenta dal mungere e fare il formaggio che lui stesso porta a valle con un cariolino cingolato. Una faticaccia.
Sono 15 i ragazzi del Bagoss e appartengono a 17 famiglie che allevano bovine Brune, fanno il celebre formaggio, lo stagionano e lo vendono. Sono le famiglie che d’estate (da metà giugno ai primi di ottobre, con qualche problema per chi ha figli in età scolare) «caricano le malghe» e producono negli antichi casolari il Bagoss estivo, quello più pregiato, quello che vi offriranno con aria carbonara a 50 euro al kg se è adeguatamente stagionato e se è una forma che ha superato i pignoli controlli manuali del produttore di razza.
Già perché il produttore di Bagoss è una specie di artista che ha i suoi segreti nel lesinare il caglio, nel lavorare a temperature molto basse e poi nel salare a mano, raschiare, oliare, battere e in sostanza «coccolare» le forme una ad una. Nel tempo (non è Bagoss marchiato se non ha un anno di stagionatura, ma il minimo è in realtà 14 mesi) si rivela se una forma è giusta, se merita di invecchiare di più o se va consumata in fretta.
Indubbiamente l’inversione di tendenza, che si è rafforzata negli ultimi tre anni, che porta i giovani a restare nell’allevamento viene dal prezzo sostenuto del formaggio.
Anche a duemila metri, in paesaggi cartolina, e in una atmosfera d’altri tempi, valgono le regole del mercato.
Ma c’è anche un sistema minuscolo che funziona. La famiglia allevatrice di norma (a parte una decina di allevatori che preferisce conferire il latte al Caseificio sociale) munge il latte, produce il formaggio, lo stagiona e lo vende direttamente. Raccoglie insomma il valore aggiunto di tutti i passaggi. Così facendo si può stimare che un litro di latte venga compensato quasi un euro, mentre la pianura esulta per un compenso di 40 cents.
Ma funziona anche il sistema della gestione familiare. Le aziende che hanno trattenuto i 15 giovani hanno raggiunto l’equilibrio economico ottimale che è di 40 capi in lattazione più le manze, la stalla e la stagionatura a Bagolino, la malga in proprietà o in affitto. Questo corrisponde a 100 forme da 20 kg di Bagoss estivo e altre 200-250 di Bagoss invernale. Al di sotto di questi numeri c’è un’agricoltura «a perdere», oltre c’è il costo del lavoro a falcidiare il reddito. La Comunità montana ha nel tempo provveduto a solcare stradine interpoderali che consentono di arrivare in fuoristrada, sia per il rifornimento degli alpeggi che per portare a valle il formaggio (ma non il latte che si rovinerebbe).
Gianmichele Portieri dal Giornale di Brescia