Il Cartella nell'angolo dedicato al filosofo dice: "L'eterno č una creazione e credere che le cose stiano eternamente e che questa creazione coincida con l'essere delle cose costituisce la radice della violenza"
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decisiva.
Creare è nel perimetro dell'apparire dell'essere sé dell'essente il suo opposto è l'essere sé dell'esente, l'eterno appunto , nell'apparire si crea come nell'apparire è il divenire ma il creato è già da sempre come il diventato poichè non si vedrebbe come potrebbe dal nulla venire.
Tenterò di dispiegarle la frase che lei critica: "L'eterno è una creazione e credere che le cose stiano eternamente e che questa creazione coincida con l'essere delle cose costituisce la radice della violenza". Ma prima volevo farle sapere che sono disposto a dialogare con lei solo se anche lei è disposto a farlo. Perché nell’affermazione in cui parla del piedistallo ho intravisto un certo astio che ha poco a che fare con la disposizione all’ascolto. Inoltre devo confessarle che non sapevo se risponderle in quanto chi sostiene che quello che dice è il decisivo mi fa un po’ paura e lo ritengo un po’ pericoloso.
Il problema può essere decisivo, non quello che lei dice. Per esempio per me non è per nulla decisivo quello che lei dice.Comunque entrando nel merito con quella frase intendevo solo sostenere che pretendere di dire che i propri discorsi coincidono con come stanno le cose è la radice della violenza. Le cose non sono dell’ordine del linguaggio, sono ciò che non emerge a livello di linguaggio. Sono d’accordo con lei quando dice che la creazione è una creazione. Credere che il pensiero coincida con l’essere è profondamente violento. Tra l’essere e il pensiero si produce una scissione. Ciò non vuol dire che c’è un dualismo, la relazione c’è. Ma sto facendo riferimento a una faglia che è preontologica. Quello che sostenevo non ha a che vedere con l’essere e con il non-essere ma con il non realizzato. Mi scusi se non ero stato chiaro.
Se lei ha intravisto dell'astio è perché ha conosciuto l'astio, io ci intravedo solo volontà dialogante, non conosco l'astio per come lo intende lei qui nelle poche parole che ha scritto. Detto questo non mi metta in bocca ciò che non ho detto , io ho detto che le poche cose di cui sto trattando sono il decisivo , non certo per come le dico io che, anzi, sono convinto, conoscendomi profondamente, ( sicuramente più di quanto lei possa fare) posso le cose che dico, per troppa fretta, sbagliare a dirle, diverso il pensarle, in quello mi considero abbastanza rigoroso... e spero che anche lei pensi la stessa cosa di lei, poiché molti invece sono convinti di essere rigorosi nel dirle ma poi dietro c'è fuffa... sa un poco come quelli che hanno una bella calligrafia e credono per questo motivo di essere scrittori..i.
Vede che anche per lei le cose di cui tratto sono il decisivo, anche se lo vuole negare ? Poiché se lei dice "questo non è un uomo" riferito ad un uomo un poco come fa la Fallaci con l'arabo o il caporale nazzista riferito all'ebreo, converrà con me che, pur mettendo la negazione, quel "non", quello è un uomo, e le cose di cui andiamo trattando è il decisivo, anche se lei vorrebbe qui negarlo.La scissione che può prodursi l'inautentico , il salto , la ucronia, la frattura come la chiama lei se non è essere cosa è ? a lei la palla...
"...pretendere di dire che i propri discorsi coincidono con come stanno le cose è la radice della violenza.Le cose non sono dell’ordine del linguaggio, sono ciò che non emerge a livello di linguaggio.." anche questo passaggio mi interessa, poiché posso condividere il fatto che le cose non siano dell'ordine del linguaggio, nel senso che sono dell'ordine delle cose le cose, ma il dire che i propri discorsi hanno pretese e poi pretendere di dire qualcosa, quello che dice poi, è contraddittorio e si annulla da sé. L'unica pretesa qui , in quello che ha scritto, è nuovamente un certo tipo di nichilismo che quello si è assurdo.
Vede la paura mi rimasta. Lei dice di conoscers profondamente, mentre io so chi sono ma simultaneamente dubito di chi sono. Non voglio negare che quello che lei tratta decisivo, come le ho gi scritto; quello che lei dice che PER ME non decisivo. A me interessa ci che nel decisivo non sta al decisivo stesso. La faglia di cui parlavo non l'essere, ma quella non coincidenza fra essere e pensiero, quel vuoto che lei ogni volta tenta di risolvere. Lei fa riferimento alla mia pretesa di dire qualcosa, ma le devo dire che in ci che dico c' la consapevolezza che non si pu dire tutto, qualcosa viene perso. A me interessa ci che rimane di ci che si perde, il quale rimane perdita ma credo sia importante non risolverlo. Questa la differenza fra la presunta decisivit del suo dire e l'esitazione del mio. La mia una descrizione intorno ad un vuoto incolmabile. Comunque la rimando al mio prossimo articolo in cui tenter di dispiegare alcune cose.
Inoltre volevo dirle che ci che ho detto su di lei non coincide con ci che lei .
lei Cartella cerca di distinguersi e fa bene, ci mancherebbe, per essere migliori c'è sempre bisogno di chi è peggiore, ma mi sembrano discorsi, questi infantili, che esulano da filosofia, sa come la pensavano gli eleati in proposito no? che l'idea di fango e l'idea di Dio sono parimenti idee e non una meglio dell'altra.Sa perché Parmenide aveva questo concetto dell'essere (che per lui non era nemmeno un'idea) ? per non stare a parlare di fronzoli lui che già parlava molto poco e scriveva ancor di meno degli stessi ( i fronzoli).Detto questo, i fronzoli appunto, torniamo alla faglia : è proprio così sicuro che sia io che tenti di risolvere questo che è un dilemma creato da lei, la faglia appunto ? Nessuna faglia che non esista appunto può esistere, mentre una faglia che esisti esiste, e siccome esiste è, compresa nel suo essere, che in questo momento io e lei stiamo pensando.
Lei dice che, inoltre, ciò che ha detto su di me non coincide con ciò che sono e qui debbo dissentire quando in luogo di non-verità e non in luogo di verità ( in questo lei ha ragione).Essendo noi in mondo isolato , ragione alienata decide proprio dicendo , succede tutti i giorni, ai processi, sui blog, nella politica, dai pulpiti di una chiesa o nel confessionale, in una transazione finanziaria o a far la spesa, discorsi brutti o discorsi belli , concorrono tutti a potenziare ragione alienata.
...eccome che è l'essere... non crede ?
Prima di continuare le devo dire che ho scoperto l'inghippo. Lei scrive sul Valsabbianews e io sul valtrompianews e i suoi commenti ai miei articoli non appaiono sul valtrompianews. per questo che non le ho risposto. Mi scusi. La faglia, quel punto, quella non coincidenza, non c', ma incide sull'agire. Dico che non c' perch non dell'essere e del non essere, ma del non realizzato. Vede io e lei parliamo di cose diverse. Lei parla di essere (il quale una supposizione, la supposizione dell'essere, il quale una veduta, uno sguardo, una presa immaginaria utilissima e importantissima) e di non-essere, mentre io faccio riferimento ad un annullamento che non cancella ci che stato ma ne mette in evidenza il non poterlo esaurire nell'azione che lo ha determinato.
La soggettivit non coincide con le azioni che compie di volta in volta. Vede io scrivo confidando che ci che scrivo faccia sedimentare un qualcosa che non si pu dire. la consapevolezza di ci che porta ad essere dei soggetti esitanti e non ad esaurire sempre tutto nei propri giudizi. Questa la violenza. Per quanto riguarda i fronzoli e l'infantile credo che se lei li ritiene fronzoli non c' bisogno che mi scriva e inoltre le consiglio di riconsiderare il suo lato infantile, il suo lato visionario e di non ridurre tutto ad concatenazione linguistico-razionale.
possiamo in qualche modo convergere, quando mi parla di non realizzato ma Cartella tenga presente che il non realizzato, può solo realizzarsi nel momento in cui già da sempre era realizzato, come potrebbe l'altrimenti ? Non ci vedo nulla di annullato in questo , anche perché, per quanto lei desideri, o chi per lei, l'annullamento , questo non può essere nel suo contenuto semantico, il definitivo e incontrovertibile nulla.
Provi a dire ciò che non si può dire se ne è capace , eppure continua a dirlo. Lei , quando difende lo statuto del dubbio fa benissimo e ci mancherebbe , ma non lo difenda supponendo che chi interloquisce con lei ne sia privo , allora non fa verità. Io non sono Dio ma un uomo tale e quale a lei, con i suoi dubbi più o meno amletici e le certezze. Tra le certezze che il "nulla" e il "non" è la categoria del falso, dell'inautentico , dell'inesistente, proprio nel suo contenuto dell'esistere, non tanto in quello dell essere come quiddità o essenza.
Il non realizzato non il possibile e nemmeno un rediduo del possibile. Non ci che potevo fare e che non ho fatto. Ma in ci che ho fatto c' qualcosa che non coincide con ci che ho fatto.
ma è quella che più gli si avvicina, gli conviene. Dice nuovamente, nel solco del vero, cose sensate intorno a soggetto e azione, ogni essere è l'esser sé dell'essente e quindi l'azione non coincide con il soggetto, ma la sedia impagliata a mano a Bagolino che ho in casa conviene alla mia case più che alla base Nasa in California, così le azioni che compio io convengono più a me che le azioni che compie lei anche se nel mio agire conseguissi la morte.
cosa sarebbe questo non realizzato? provocazione.Se il non realizzato è quel tutto in cui lei è solo parte allora continuiamo nella convergenza, se invece vuole dirmi che è un qualcosa che viene dal nulla o sta in quel luogo allora non ci siamo ( questo "non ci siamo" deve essere inteso per il suo contenuto semantico e non come provocazione di un Dio che le dice che non ci siamo)
Per quanto riguarda ci che lei dice sul dubbio Amletico e sull'incertezza non ha nulla a che vedere con ci a cui sto tentando di approssimarmi. Non si tratta dell'incertezza ma dell'esitazione. L'incertezza ha un p a che vedere con il non riuscire a decidersi (essere o non-essere), mentre io le sto parlando di qualcosa che nella decisione (la quale va presa, non so sostenendo il contrario) non sta alla decisione stessa. Provi a pensare al recupero dei criminali. Se li si facesse coincidere con l'azione che hanno commesso e che stata giudicata criminale, allora il criminale andrebbe eliminato. Mentre c qualcosa nellazione che non sta allazione stessa. Spero che lei non sia uno che dice che i criminali vanno eliminati.
Cartella lo provi a pensare come quel tutto che è il suo contraddittorio e che per questo motivo , in origine la contraddice e dunque nel contraddirla è identico a se e opposto a lei nel cerchio dell'apparire , oltre io non sono ancora riuscito ad andare.
..quel qualcosa è quel tutto , che ci fa criminali come loro. Noi non usiamo l'estrema violenza contro le azioni criminose perchè il decidere l'estrema violenza ci equipara a loro, non sapendo per altro che lo siamo; è per questo motivo che non li condanniamo , condanneremmo noi stessi. Quell'incertezza, caro Cartella è la verità che si fa prepotente e grida a non-verità quello che siamo, con l'apparire della verità.
Per quanto riguarda il vero e la verit credo che la verit ci sia. Essa non ha contenuto, non rappresentazione, non una verit oggettiva o oggettivata, ma c. Essa uno spostamento di posizione, un effetto di spostamento ed legata al niente di rappresentabile. La verit qualcosa che sentiamo come vero ma che non riusciamo a dire o a rappresentarci, ma orienta i nostri tentativi di significazione.
che violenza è la volontà che vuole l'impossibile, e se la volontà è essenzialmente un volere che qualcosa divenga altro da sé, allora - poiché il diventare altro da sé è qualcosa di impossibile (giacché l'impossibile è innanzitutto l'essere altro da sé) - la volontà è, in quanto tale, il volere l'impossibile, e cioè la volontà è, in quanto tale, violenza. La devastazione dell'uomo e della terra è la forma visibile della violenza; la carità, l'amore, la tolleranza sono forme nascoste della violenza. Anche ogni volontà salvifica è dunque una forma nascosta di violenza - come ogni volontà "creatrice". Nessun creatore e nessun salvatore ci può salvare. Ma non perché la salvezza debba essere cercata altrove, ma perché il concetto stesso di salvezza - così come esso si presenta lungo la storia dell'Occidente -
è nella sua essenza violenza, cioè volontà di trasformare il mondo, e quindi volontà che vuole l'impossibile ”. Sono contento di essere riuscito ad avere una disputa con lei, è solo tramite il dialogo che le cose si possono risolvere.
Credo che lei si stia riferendo alla consapevolezza che il volere non il potere. Pensare che quello che vogliamo possa coincidere con ci che possiamo pericoloso per noi e per gli altri. Per non si tratta di rinunciare alla volont di comprendere. Perch questa rinuncia sarebbe un atto di volont. A me non interessa in questo momento questa volont di comprendere, la quale c'. Ma essa violenza quando risolve quel vago senso di perdita al quale facevo riferimento che incide sul nostro agire. Quest'ultimo del reale (che non la realt) e non del possibile.
la leggo sta sera si da poter risponderle , ora non posso per contingenze... a risentirci allora più tardi e grazie.
Per oggi la devo salutare. Anch'io comunque sono contento. Anche se insisto che in ci che ci siamo scritti risolva solo il fatto che stavamo parlando di cose diverse e che ci che scrivo non in opposizione con quello che scrive lei. Si tratta solo di cose diverse.
In quello che lei dice c' sempre una dialettica fra essere-non essere,migliore-peggiore, decisivo-non decisivo, vero-falso, ecc. A me interessa il punto di crisi di questa dialettica. Non dico debba interessare anche a lei. Per la rimando al prossimo articolo se qualcosa le interessa rispetto a questo punto di crisi. Questo non vuol dire che io mi opponga alla dialettica e non vuol dire nemmeno superare la dialettica. Grazie della discussione
NON vado oltre questo ragionamento che avrebbe bisogno di approfondimento ulteriore ma aspetto la sua pubblicazione, intanto mi rammarico e mi rimprovero perché non sento più una voce assolutamente autorevole in queste cose, Davide Bondoni, che spero mi legga, come faceva spesso un tempo e dica la sua che non è solo una fra le tante ma è quella di Davide Bondoni appunto.
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