07 Agosto 2007, 00.00
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Banche e Finanza

Il crac del Banco Ambrosiano mezzo secolo dopo

In un fondo sul Corriere della Sera, il Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, ripercorre la vicenda che porto' alla liquidazione del Banco Ambrosiano il 6 agosto del 1982. Un ricordo che puň aiutarci a non ripetere gli stessi errori.

La crisi iniziò a manifestarsi nel giugno del 1982: il Banco Ambrosiano era, in un contesto dominato dalle banche di proprietà pubblica, fra le maggiori banche private italiane. Anche per questo, la crisi e le sue possibili ripercussioni sistemiche apparvero gravi. A provocarla furono operazioni fraudolente di enormi dimensioni: i poteri aziendali erano accentrati in capo a una sola persona, il presidente Roberto Calvi, che aveva costruito un conglomerato basato su un'articolazione estera complessa e opaca. Il ministro del Tesoro dell'epoca, Nino Andreatta, definì in Parlamento quella gestione «al di fuori di ogni logica bancaria». Di fatto Calvi esercitava un potere assoluto su tutte le attività del Banco, aveva esautorati il consiglio di amministrazione e il collegio sindacale. La spoliazione occulta dell'azienda avveniva attraverso le consociate estere, nel Lussemburgo, in Perù, a Nassau, dove transitarono verso una destinazione finale che mai fu del tutto chiarita 744 milioni di dollari, pari a oltre 1.000 miliardi di lire dell'epoca, 1,6 miliardi di euro dei giorni nostri. Gran parte fu perduta.

Pur rilevando aree oscure nella gestione del Banco, per parecchio tempo la Banca d'Italia non riuscì a incidere veramente per correggerla. L'ostruzionismo fraudolento dei suoi amministratori e, soprattutto, l'inadeguatezza delle norme di legge e regolamentari impedirono una percezione tempestiva dello stato di difficoltà del Banco. Le norme allora in vigore erano palesemente inidonee a consentire una efficace vigilanza su una banca con estese ramificazioni estere, molto attiva nei paradisi fiscali, difforme dai modelli prevalenti nel sistema bancario italiano del tempo. Quando, dopo i reiterati e infruttuosi richiami del Governatore Carlo Azeglio Ciampi al consiglio di amministrazione, si arrivò finalmente a scoprire la situazione gravissima del Banco, non vi era più spazio per un risanamento: il 14 giugno del 1982, due giorni dopo la notizia della misteriosa scomparsa di Calvi, la Banca d'Italia avviò una ulteriore ispezione; il 17 giugno il ministro del Tesoro, su proposta della stessa Banca d'Italia, dispose lo scioglimento degli organi amministrativi del Banco. Fu nominato in via d'urgenza un Commissario provvisorio, Vincenzo Desario, a quel tempo ispettore della Vigilanza, successivamente Direttore generale della Banca d'Italia.

Il 18 giugno fu ritrovato il cadavere di Calvi. Il 19 giugno l'amministrazione straordinaria del Banco fu affidata a Giovanni Battista Arduino, Alberto Bertoni e Antonino Occhiuto: un esperto banchiere a riposo, un docente di economia aziendale alla Bocconi, un ex membro del Direttorio della Banca d'Italia, in quel momento presidente dell'Istituto Italiano di Credito Fondiario. Rimasero in carica meno di due mesi: chiarita la situazione contabile, il 6 agosto 1982 il Banco Ambrosiano venne posto in liquidazione. La struttura nazionale della banca era però sana e funzionante: i dipendenti erano in grandissima parte estranei alla frode; la rete di relazioni con la clientela era vasta e proficua. La Banca d'Italia separò la responsabilità dell'imprenditore dall'azienda, di cui preservò la parte buona. I risparmiatori vennero tutelati. I creditori del vecchio Banco furono soddisfatti, con l'eccezione di quelli delle filiazioni estere, attraverso le quali si erano create le perdite; questi lo furono solo in parte. Anche grazie all'opera di persuasione di Beniamino Andreatta e di Carlo Azeglio Ciampi un gruppo di banche, pubbliche (Banca Nazionale del Lavoro, Imi, Istituto San Paolo di Torino) e private (Banca Popolare di Milano, Banca San Paolo di Brescia, Credito Emiliano e Credito Romagnolo), seppero percepire il valore ancora insito nell'azienda bancaria e apportarono nuovo capitale per 600 miliardi di lire, pari a quasi un miliardo di euro di oggi.

Nacque così il Nuovo Banco Ambrosiano, la cui presidenza fu affidata fin dal 6 agosto 1982 a Giovanni Bazoli. Il Nuovo Banco acquisì le attività e le passività del vecchio in liquidazione, pagando a quest'ultimo l'elevata somma di 350 miliardi di lire (oltre mezzo miliardo di euro di oggi) per l'avviamento. Il 9 agosto riaprirono gli sportelli con le nuove insegne. Il denaro pubblico impiegato nella liquidazione del vecchio Banco può stimarsi pari a meno di 300 milioni di euro di oggi. Il Nuovo Banco, libero dalle deviazioni del vecchio, manifestò presto una crescita vivace. Giocò un ruolo importante nel consolidamento del sistema bancario italiano, un ruolo che lo ha visto protagonista del periodo storico iniziato in quella estate del 1982 e conclusosi con l'operazione di fusione tra la Banca Intesa e l'Istituto San Paolo di Torino.

Alla luce di questi sviluppi, l'opera della Vigilanza della Banca d'Italia di allora appare oggi preziosa. A tessere le fila della transizione dal vecchio al nuovo Banco si distinse, fra gli altri, un giovane e brillantissimo funzionario, a capo dell'Ufficio Gestioni straordinarie e liquidazioni, Gabriele Berionne, prematuramente scomparso qualche anno dopo. Di quell'opera, svolta in stretta collaborazione con i liquidatori, beneficiarono anche l'accertamento delle responsabilità e il recupero dell'attivo. Vi fu un seguito istituzionale: nel 1983 venne stipulato il concordato di Basilea, che affermò il principio del consolidamento dei bilanci bancari. Da allora i supervisori possono valutare la situazione complessiva di un gruppo bancario indipendentemente da come attività e passività sono allocate fra casa madre e filiazioni estere. Iniziò in quell'occasione una intensa collaborazione internazionale tra le autorità di vigilanza che prosegue oggi in un continuo adeguamento agli sviluppi del mercato.

Ma da quella esperienza derivò anche un altro insegnamento fondamentale: i controlli esterni, tra cui quelli di vigilanza, con difficoltà riescono a prevenire situazioni di crisi specialmente quando vi è frode da parte degli amministratori. Più in generale, solo controlli interni efficaci, predisposti da organi aziendali ben regolati e funzionanti, possono rilevare tempestivamente i prodromi di situazioni critiche. La supervisione bancaria è efficace solo se nelle banche vigilate è assicurata la funzionalità della loro governance: da ciò l'attenzione con cui la Banca d'Italia ne segue le recenti innovazioni. Anche il ricordo dell'ambiente in cui avvenne lo scandalo dell'Ambrosiano può aiutarci a non ripeterne i tratti: poca concorrenza in un mercato del credito minutamente regolato dalle Autorità; mercati finanziari di scarso spessore al servizio di pochi individui; onnipresente commistione tra banche e politica; rigidi controlli sui movimenti di capitale che mortificavano la già debole proiezione internazionale delle nostre banche più grandi, mentre le piccole, orgogliose del campanile, respingevano ogni cambiamento. In un contesto oggi profondamente diverso, è cambiata, sta cambiando, la vigilanza della Banca d'Italia. Sulla profonda conoscenza del sistema bancario italiano, dei suoi protagonisti, della sua storia, essa vuole oggi innestare la tempestiva percezione delle direzioni di marcia della finanza internazionale, del moto delle forze di mercato; vi adegua le proprie strutture operative, con la consapevolezza dei suoi limiti di fronte a sviluppi incessanti di grandi dimensioni, ma con la determinazione che ne ha caratterizzato la storia.

di Mario Draghi, Governatore della Banca d'Italia
Da "Corriere della Sera"


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