25 Giugno 2012, 07.20
I racconti del lunedì

La decima clandestina

di Ezio Gamberini

Per la quarta volta, in occasione della Maratona Internazionale del Custoza, giungo a Villa Venier molto presto...

 
Mi piace parcheggiare con calma nel magnifico parco, cambiarmi lentamente ed osservare i podisti che giungono alla spicciolata, in gruppo o singolarmente.
Ognuno ha le proprie abitudini, o meglio, i propri tic, ed è straordinariamente piacevole scrutare i riti che precedono la fase del riscaldamento e i processi di “vestizione”.
Vado a ritirare il pettorale e dopo averlo “spillato” risalgo in macchina per concentrarmi qualche minuto.

Chiudo gli occhi un attimo adagiando la nuca sul poggiatesta.
Spero di non battere il record d’assopimento rapido con annessa fase rem e relativo sogno, ottenuto l’ultima volta in cui mi sono recato all’autolavaggio e che non posso esimermi dal raccontare.
E’ sabato pomeriggio e sono rilassatissimo. Dopo aver posto l’auto sul binario che traina le ruote metto in folle e mi appoggio allo schienale socchiudendo gli occhi.
Cominciano i primi spruzzi, poi il sapone, girano le spazzole, scccc… scccccc… sciaffff… ….sciaffff… ….frrrrr… frrrrrrr…..e poi.…. toc-toc, bussa al vetro l’addetto dell’impianto, quando mi ritrovo alla fine del tunnel. Si accorge di avermi svegliato e, commosso, mi regala un‘arbre magique’. Ho dormito centottanta secondi!

Qualche sera dopo, invece, Grazia si siede sul divano, distrutta. Ha la faccia rossa, prova la febbre: 38 e 3. “Accidenti ! - esclamo – polmonite atipica SARS?”
Proprio in quell’istante al telegiornale comunicano che a Hong Kong c’è l’obbligo di ricovero, per chi supera i 38 gradi di febbre. “Pensa un po’ – le dico – potrebbe essere un’idea, mandarti al ricovero.
Naturalmente con una scatola di biscotti Ritz. Con Ritz non si è mai soli”. Non si degna di rispondermi, accoccolata com’è con Chiara, mentre guardano i cartoni animati. Salgo in camera e apro la porta del balcone per rinfrescare l’aria. Passano alcuni minuti.
“Ma che fine ha fatto il papy?”, dice la moribonda.
“Sta guardando il cielo!” esclama la piccola con intonazione canzonatoria. Grazia ride di gusto, beffarda: “Eh, eh, Chiara conosce i suoi polli….”. “…e anche le sue galline!” conclude l’ultimogenita traducendo in parole il mio pensiero. L’indomani siamo un po’ preoccupati perché la gamba della degente, sopra la caviglia, si è arrossata, gonfiandosi notevolmente. Forse rimanendo in giardino tutto il pomeriggio del giorno precedente, è stata morsicata da qualche insetto, e questo ha causato la febbre. Chiamiamo la dottoressa, una cara amica, e le chiediamo un parere. Dopo aver armeggiato un po’, emette il suo verdetto: “Niente che riguardi le articolazioni, niente artrite…..forse qualche insetto, un ragnetto…..”. Esco in giardino per una ricognizione e rientro con l’esito: “Impossibile….nessun ragnetto morto in giardino…” e mi dileguo immediatamente.

La casa in cui abito ha la splendida caratteristica di trovarsi in una via chiusa e le uniche macchine che transitano sono quelle dei residenti, una quindicina di famiglie, con una decina di figli piccoli che rappresentano tutte le classi, dalla prima asilo alla quinta elementare, oltre a sette od otto di maggiore età, tra i quali Anna e Paolo.
Lascio immaginare il brulicare festoso nelle lunghe serate estive con gruppetti che giocano a palla, altri con le macchinine, altri coi pattini e via discorrendo. (Chissà che in futuro tra loro non spunti un novello Molnar, narrando le cronache dei “Ragazzi di Via Don Belli”).
Il piccolo N., nove anni, mi vede per l’ennesima volta rientrare da un allenamento: “Hai corso anche oggi una maratona?”. “No, solo dieci chilometri”. “Per te fare un giro di pista serve solo a ‘sgranchiolare’ le gambe!” mi dice letteralmente, ripensando alla fatica che ha fatto nel percorrerlo agli ultimi giochi della gioventù. Quando mi vedeva fare stretching contro il cancello, le prime volte, mi chiedeva. “Che cosa fai?”. “Cerco di spostare il cancello più avanti, così avrò il giardino più largo…”. “Ah…..”, mi diceva scrutandomi. A., invece, neppure tre anni, quando mi vede tornare comincia ad applaudire e allora alzo le braccia al cielo e faccio la sceneggiata: “Primo, primo!”. Se non alzo le braccia mi guarda e chiede: “Plimo?”. “No, oggi ultimo” e così ricomincia a giocare col suo ‘picap nelo’che fa ‘brum, brumm’.

Da qualche tempo durante i miei allenamenti non incontro più Patrizia Tisi, fresca campionessa italiana giunta ventitreesima ai campionati mondiali di cross a Losanna, e sinceramente non me ne dolgo troppo poiché non saprei che augurio farle, stavolta, dopo che qualche anno fa si poteva incoraggiare con un: “In bocca al lupo per il campionato regionale” e poi, via via, “Cerca di vincere il titolo italiano”, “Fatti onore all’europeo”, “Buona fortuna per il mondiale”. Che potrei dirle, ora: “In bocca al lupo per l’ ‘Intergalattissima’?”, oppure “Buona fortuna per la gara sociale delle Pleiadi” o ancora “Copriti bene, su all’Ofiuco, fa un po’ freddino...e se passi da Betelgeuse attenta alle supernovae!”

La partenza è fissata per le 8 e 30, ma il cancello è aperto tre minuti prima ed i chips fanno il loro dovere quando passano sul tappeto rosso: si parte. Siamo una moltitudine! Le prime sensazioni non sono delle migliori, per quanto mi riguarda, ed il seguito della gara lo confermerà. Le cause sono parecchie e via via che i chilometri aumentano cambio continuamente obiettivo, accontentandomi sempre più di tempi modesti: quello dell’anno scorso, poi le quattro ore e mezza, infine chiudere sotto le cinque ore, che riuscirò a centrare con uno sforzo davvero notevole.
Transitato alla mezza in due ore e cinque, mangio qualche biscotto e due fette di mele al venticinquesimo: mi resteranno sullo stomaco. Fino al trentanovesimo, ogni volta che cercherò di incrementare la velocità sarò colto da conati di vomito.
Mai come quest’anno i moscerini hanno creato disagio, soprattutto in prossimità dei corsi d’acqua: uno in particolare mi ha praticamente accompagnato dal lungomincio fino a Sommacampagna. Mi ci sono quasi affezionato: l’ho chiamato Gildo. Anche quest’anno, poi, ho rivisto il romano “barbabianca” che mi ha superato al ventesimo: lo riconosco e gli chiedo : “ ‘N c’è a bira ?”. “No,- mi risponde – niente bira”. Al quinto ristoro chiedo porchetta, giurando che nei precedenti hanno assicurato che l’avremmo trovata al successivo. In quello del trentacinquesimo però, posto nella magnifica villa all’ombra di alberi secolari, spunta realmente una bottiglia di Custoza, e c’è chi ne beve!

Nell’apoteosi finale, prima di tagliare il traguardo, alzo le braccia, conscio che per oggi aver chiuso sotto le cinque ore è quanto di meglio potessi ottenere, e riconoscente al suolo veneto, dopo lo striscione, mi chino a baciare la nuda terra.
Saluti a tutti, baci ed abbracci.
La decima maratona si poteva concludere con l’amaro in bocca, se non avessi rifiutato il mezzo ettolitro di Montenegro che mi offrivano. Risalgo in macchina per imboccare la via di casa, ma prima di inserire la chiave nel cruscotto mi appoggio per qualche istante allo schienale, socchiudendo gli occhi…

Toc-toc… è l’amico Simone Lamacchi, l’organizzatore della maratona, che picchia sul finestrino della mia macchina, l’unica rimasta nel parcheggio, scopro con terrore guardandomi in giro: “Ohè Tapascio, sono le sette, qui abbiamo smontato tutto ormai, dobbiamo chiudere anche il parco della villa. Ma che fine hai fatto stamattina dopo aver ritirato il pettorale, nessuno più ti ha visto… Non vorrai dirmi… non vorrai dirmi che hai dormito per dodici ore a fila, senza correre la maratona!”.
Bontà divina! Abebe, cos’ho combinato? Ho dormito! Dunque la mia decima maratona è stata tutto un sogno, com’è possibile? Mi prenderei a sberle. Comincio a disperarmi e a singhiozzare col viso tra le mani, mentre Simone cerca di rincuorarmi con qualche pacca sulla spalla, prima delicatamente e poi con più energia fino al punto da procurarmi dolore.
“Grazie Simone, grazie, basta ora. Grazie, ma basta….Simone….Simone….”.
“Ma che Simone e Simone – mi sveglia bruscamente Grazia, facendomi quasi cadere dal divano – dai, sono le tre, fra poco comincia lo spettacolo”. Le gambe sono indolenzite, quindi ho corso, non è stata una decima clandestina! Grazie santi protettori dei tapasci bombati, grazie a tutti. “Ma quanto ho dormito su questo divano, dopo il mio ritorno?” chiedo a Grazia. “Circa tre minuti. Su svelto, andiamo!”. Mi accingo a reclamare l’arbre magique in omaggio, ma fortunatamente, prima di farlo, la confusione che avevo nel cervello svanisce d’incanto e mi ricordo perché avevo l’assoluta premura di tornare a casa alla svelta, subito dopo aver concluso la maratona: alle 15 e 30 comincia lo spettacolo dei bambini che canteranno e danzeranno per la festa della mamma. Chiara canta e balla, mentre Anna presenta.

Che bello! Son certo che fino al momento in cui ci saranno bambini sulla terra, il mondo sarà salvo.
E la sera, prima di addormentarmi, con le dolci melodie che risuonano ancora nelle orecchie e riscaldano il cuore, anch’io ritorno un po’ bambino e così come allora pregavo Eupalla, dea del calcio e del bel gioco, perchè da grande mi concedesse la gioia di calcare stupendi tappeti erbosi incrociando i tacchetti con qualche campione, ora sono ad implorare Abebe e Fidippide, prìncipi della corsa e della maratona, affinchè mi accordino ancora una cinquantina d’anni per correr maratone e poterle narrare, tollerando il mio cocciuto vezzo d’intingere il pennino del cuore nell’inchiostro dell’anima.
Cosa sono per Voi cinquant’anni, in confronto ai tredici miliardi d’età dell’universo o ai cinque miliardi d’esistenza del nostro pianeta ed altri cinque che ancora gliene rimangono, prima di diventare un bel soufflè?

di Ezio Gamberini
Tratto dal volume: “Tapascio Bombatus e altre storie” – Ed. Liberedizioni

Il racconto è del 2003
 


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