13 Giugno 2011, 08.50
I racconti del lunedì

Cuci - Cuci

di Ezio Gamberini

Non si tratta della seconda persona singolare, presente indicativo, del verbo cucire. E non sia fatta confusione con la bevanda piů bevuta al mondo, che lo richiama foneticamente...

“Cuci-cuci” rievoca in me antiche e piacevoli sensazioni, fin da quando, quasi mille anni fa, mentre tutta la famiglia era riunita attorno alla tavola, papà esclamava queste parole, sussurrandole: “Stiamo qua, cuci-cuci...”.

Ricordo che a me, il più piccolo di cinque figli, si scaldava il cuore (così come alla mamma e ai miei fratelli più grandi), ed eravamo sicuri che in quei momenti neppure una catastrofe avrebbe potuto scalfire la “cellula” di felicità pura, quella “bolla” cosmica impenetrabile come una fortezza.
Credo che non solo, ma soprattutto quegli attimi abbiano permesso di consolidare il mio concetto di famiglia, che da sempre considero fondamento e ragione di vita.
 
Di certo vi ha pure contribuito la passione per alcuni personaggi che sin da bambino mi hanno affascinato e “sedotto”; tra questi giganteggia Giovannino Guareschi, il mio scrittore prediletto, che mi accompagna da una vita.
Con “duecento parole”, su e giù per l’alfabeto, è riuscito per davvero a “scaldare” il cuore a milioni di persone, a tutte le latitudini, vecchi e giovani, e sorprendentemente a un numero sempre maggiore di ragazzi del giorno d’oggi (ne conosco alcuni davvero “sfegatati”, tra i quali il simpaticissimo ed arguto giovane curatino della mia parrocchia), pur essendo trascorsi centotre anni dalla sua nascita e quarantatre dalla sua scomparsa.
 
Per restare al nostro “cuci-cuci”, come non associarlo alle magiche atmosfere dell’indimenticabile “Favola di Natale” guareschiana, oppure a don Camillo e Peppone che, pur in momenti tragici (nel racconto “Giallo e rosa”), si ritrovano col pennellino in mano, in prossimità del Natale, a dipingere i personaggi del presepe, quasi inebetiti per lo stupore che suscita la nascita di Gesù Bambino (e col burbero Peppone che, dopo essersi allontanato dalla canonica, “…sentiva ancora nel cavo della mano il tepore del Bambinello rosa”).
O, ancora, allo spirito immateriale ma vivido di quel “decimo clandestino”, il quale, alla chetichella, segue i nove fratelli più grandi che raggiungono la cucina, sotto gli occhi commossi ed increduli della vecchia signora, sua madre, che lo perse in gioventù…
 
Mi sono sempre chiesto quale fosse l’etimologia di questa strana espressione.
Chissà se c’entra proprio il verbo cucire, che fa pensare a un’azione lenta e compassata, appunto quella del cucire, che rimanda ad atmosfere rilassate, una madre o una nonna che cuce con figli o nipoti che trotterellano accanto, mentre giocano tranquilli e sereni.
O se invece ci si debba riferire all’accucciarsi, o ad una cucciolata festosa che attornia la mamma prima della poppata.
 
Forse si tratta proprio di una contrazione del richiamo “cuccioli, cuccioli!”, che sa tanto di istintivo e ancestrale.
Ad ogni modo, in quel tempo la magia si ripeteva quando ci stringevamo in salotto, mentre fuori imperversava la pioggia che batteva violentemente contro i vetri, e i tuoni sembravano scuotere la casa dalle fondamenta; a ogni temporale la corrente elettrica era tolta e noi si restava alla fioca luce di una candela, preparata in precedenza, ai primi sentori di bufera.
Nulla era in grado d’intaccare la nostra serenità, perché noi eravamo lì, “cuci-cuci”.
 
Domenica mattina, le otto e trenta, siamo a letto giĂ  da due ore in piĂą rispetto agli altri giorni della settimana.
Una tormenta si è accanita per tutta la notte, e anche adesso il vento ulula scaricando tonnellate di pioggia che si abbattono furiosamente contro le finestre, con frastuono fragoroso e assordante.
Che delizia crogiolarsi sotto le coperte, in queste condizioni!
Mi giro sul fianco sinistro e pian piano mi sposto verso Grazia, alla mia destra, che si trova nella stessa posizione; spingo il mio fondoschiena contro il suo ventre e provo ad “appiccicarmi”, cercando di far aderire il più possibile le nostre superfici corporee, e “calcandole” addosso il bene che le voglio: come siamo caldi, sembriamo fornellini!
Le prendo il braccio e me lo cingo attorno al fianco, poi mi porto la sua mano al cuore, gliela stringo e le sussurro: “Stiamo qua, cuci-cuci…”.
 
Lembo di Paradiso!
 
E chissà che non sia così anche lassù, alla fine del correre.
Niente San Pietro che ti scruta severo, con le chiavi in mano, niente esami, nessuna indagine lunga e laboriosa, eccettuati il dispiacere e una grande pena per le sciocchezze combinate in una vita, le omissioni, quello che avresti potuto fare, la mancanza di coraggio...
Nulla di tutto ciò, ma soltanto un uomo, con la faccia di mio padre, che mi accoglie a braccia aperte, ed al cui fianco sorridono i nonni, mio fratello, gli zii, i cugini, il mio caro amico d’infanzia Renzo, morto schiacciato da una macchina quando eravamo ragazzini, tutti gli amici che se ne sono andati avanti: “Cià, venite, stiamo qua, tutti insieme, cuci-cuci… .” .
 
Tutti insieme, cuci-cuci, per l’eternità.
 
Ezio Gamberini
Tratto da “Nuovo Modena Flash” – Guerzoni Editore – II ed. 2011
 


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