12 Maggio 2007, 00.00
Gavardo
Aggressione mortale

Ricostruito in una notte l'accaduto

Il cerchio si chiude in una notte: due fermi scattano immediatamente, gli altri costano ai militari del Nucleo operativo della Compagnia di Salò un viaggio imprevisto a nord, fino a Riva del Garda.

Il cerchio si chiude. In poche ore di lavoro frenetico per gli investigatori dei Carabinieri: due fermi scattano immediatamente, gli altri costano ai militari del Nucleo operativo della Compagnia di Salò, guidati dai marescialli Benito Sganzerla e Paolo Fioletti, un viaggio imprevisto a nord, fino a Riva del Garda (Tn) dove all’alba termina la fuga degli ultimi due coinvolti, tra cui una ragazza.

Quattro in tutto. Quattro persone che hanno condiviso l’orrore di quei minuti di brutalità alle porte del centro di Gavardo. Tre stranieri e un’italiana. Sullo sfondo, secondo le prime ipotesi, un giro di spaccio, una faccenda di droga, di conti in sospeso, saldati nel più tragico dei modi. Anche se la morte di Angelo Bonomini, «Angilù», 47 anni, è quasi certamente da attribuire ad un infarto che lo ha stroncato nella concitazione della rissa. Ragione per cui i due tunisini, che per gli inquirenti - coordinati dal sostituto procuratore Maria Grazia Ormanni, e guidati sul campo dal ten. col. Marco Riscaldati, comandante del Nucleo operativo del Reparto provinciale dell’Arma - sono i responsabili della morte del 47enne, devono rispondere di omicidio preterintenzionale. E non solo.

Già, perché i Carabinieri salodiani e i colleghi della Stazione di Gavardo, giunti per primi in via Quarena, hanno elementi per contestare più di un reato ai due. Lo si deduce dalla ricostruzione del fattaccio. Sono le 19.15: all’incrocio con via Quarena e via dei Giroli, a Gavardo, scoppia l’inferno. La Ford Fiesta a bordo della quale si trovano la vittima e Lotfi Jmnai, il fidanzato 27enne della figlia della sua convivente, viene affiancata da una Citroen C3, da cui scendono due uomini, i tunisini Riadh Trabelsi, 22 anni, e Mendhi Dridi, 20. Entrambi clandestini, a differenza del Lotfi, forse gravitanti tra il Bresciano e Riva del Garda (Tn), cittadina in cui vive Arianna Cappelli, 27 anni, commessa e già finita nei pasticci per droga un mese fa. È lei la giovane al volante della C3, sua l’auto. La giovane è un tassello importante per lo sviluppo delle indagini degli uomini dell’Arma: gli investigatori del Nucleo operativo di Salò l’hanno fermata giusto poche settimane or sono dalle parti di Soprazocco, assieme ad un altro rivano, nell’ambito di un’indagine su un giro di piccolo spaccio che ha per protagonisti dei magrebini che «battono» la boscaglia della zona. Stessa sorte toccata due settimane dopo, a San Quirico di Soprazocco, al Trabelsi, che risulterebbe essere il fidanzato della giovane.

Circostanze che finiscono per confortare i già pesanti sospetti degli inquirenti: sullo sfondo di quel fattaccio ci sarebbe la cocaina, il cui prezzo più contenuto tra Garda e Valsabbia, pare attiri numerosi acquirenti di piccolo e medio livello dell’area trentina. E le botte, le bastonate i calci volati in via Quarena sarebbero frutto di un «affare» sporco. La raffica di colpi costa cara a Bonomini, che secondo il racconto di testimoni, viene preso a calci anche quando è ormai a terra. Il teatro dell’aggressione si offre ricco di elementi per la lente dei militari della Sezione investigazioni scientifiche: a terra restano brandelli di bastoni, magliette strappate, cristalli d’auto in frantumi, e in un cespuglio lì vicino i Cc rinvengono pure un coltello. È probabile sia l’arma che ha causato tutta quella serie di tagli superficiali riportati da uno dei tunisini, non dalla vittima. Gli inquirenti hanno ragione di credere appartenga a Lotfi Jmnai: motivo per cui, appena dimesso dall’Ospedale di Gavardo, finisce a sua volta in cella con le accuse di lesioni personali e detenzione abusiva di arnesi atti ad offendere, accuse che condivide per intero con gli altri due connazionali.

Le strade di questi ultimi si separano presto, appena inizia la fuga. Il più vecchio dei due finisce in manette nel giro di pochissimo, tanto che i Cc lo fermano ancora a Gavardo. Per i suoi complici, tali almeno stando alla ricostruzione degli inquirenti, la notte si trasforma in una corsa disperata e inutile. Puntano a nord, verso Riva del Garda, dove la giovane commessa ha casa. Ma agli investigatori dell’Arma, che già l’hanno incrociata nelle loro indagini e che la conoscono perché da tempo bazzica nel Bresciano, serve poco per rintracciarla e bloccare la sua fuga. I militari le fanno la posta sotto casa. È notte fonda, le 2 passate, quando i Cc salodiani in trasferta a Riva, si ritrovano faccia a faccia con la giovane e con Dridi. Alla ragazza viene contestato il favoreggiamento personale: era lei al volante dell’auto da cui i magrebini sono piombati a terra in via Quarena dando il là all’agguato, a quella rissa risultata fatale ad «Angilù». E sempre si è trasformata nell’autista di quella fuga inutile, esito tanto scontato quanto «improvvisato» sembra essere quell’aggressione: una «scaramuccia», giusto per regolare conti in sospeso, un pestaggio che valesse come lezione, ma finito presto in dramma.

Un epilogo tanto burrascoso quanto disseminata di guai con la giustizia è stata la vita di Angelo Bonomini. Detto «Angilù» per la sua stazza, ma conosciuto per le vie di Gavardo anche come «Bronx». Le grane con la legge iniziarono presto per lui, quando aveva appena 25 anni: nell’84 fu denunciato per un giro di eroina che coinvolse altri nomi passati alle cronache, come quelli di Franco Orrù, che morì fulminato da un colpo d’arma da fuoco durante l’assalto a un furgone portavalori nel ’92, e con Oliviero Maestri, ucciso alla Madonna della Neve di Villanuova sul Clisi, pure nell’84. Spaccio e rapine, episodi finiti nei fascicoli del Nucleo operativo della Compagnia di Salò e che le cronache riportano frutto delle indagini condotte a quel tempo anche dal maresciallo Filippo Merlino, poi caduto vittima il 12 novembre 2003 a Nassiriya. Poi vari lavori, tra cui quello di cavatore, e ora, si dice in paese, il progetto di mettere in piedi un’attività. Un progetto finito in fumo, come quella casa arsa dalle fiamme a Monticelli di Soprazocco una manciata di minuti dopo la rissa fatale. Anche se sarebbe stato davvero un incidente.
Per gli inquirenti non quadrerebbero neppure i tempi in un’ipotesi diversa. Solo una disgrazia nella tragedia.

dal Giornale di Brescia


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