05 Agosto 2010, 15.29
O
Europa

Il pasticcio delle quote latte

Una vicenda che solo marginalmente coinvolge la Valle Sabbia, anche se spesso č argomento di discussione. Un po' di chiarezza con gli esperti.

 
Di Stefano Castriota e Marco Delmastro - 05.08.2010 da lavoce.info
Il sistema delle quote latte, stabilito dall'UE, ha come obiettivo ridurre lo squilibrio tra domanda e offerta.
Nel corso degli ultimi 25 anni molti produttori italiani hanno consapevolmente superato il tetto massimo delle quote assegnategli dall'UE.
Solo una minima parte delle multe sono state effettivamente pagate dagli allevatori. I contribuenti italiani hanno, invece, giá pagato 1,87 miliardi di euro per i prelievi relativi al periodo 1984-1996. I restanti 2,5 miliardi devono essere pagati dai coltivatori, a meno di non voler far scattare una procedura d'infrazione da parte dell'UE.

Le quote nazionali, modificate periodicamente dall’UE, vengono ripartite tra gli allevatori su base individuale ed a titolo gratuito.
Gli allevatori possono poi comprare o affittare da altri produttori le quote che danno diritto a produrre una certa quantità di latte. Superata la propria soglia bisogna versare un prelievo proporzionale all’eccedenza.
Questo contributo, che molti definiscono “multa”, si chiama in realtà “prelievo supplementare” (1): infatti, le aziende possono produrre il quantitativo che vogliono, ma se eccedono il limite stabilito devono pagare un differenziale tale da scoraggiarne la produzione.
Chi ha prodotto eccedenze, dunque, lo ha probabilmente fatto nella piena e totale consapevolezza: alcuni non hanno mai comprato le quote latte, altri le hanno sistematicamente superate.
Chi ha commesso piccoli errori deve pagare poche migliaia di euro, ma è difficile trovare giustificazioni convincenti per produttori che devono versare allo Stato italiano svariati milioni di euro.

LE “MULTE”: UN PROBLEMA QUASI ESCLUSIVAMENTE ITALIANO

Il problema dello sforamento delle quote è quasi esclusivamente italiano: nel 2008, l’80 per cento delle “multe” ha riguardato il nostro Paese (2).
Se si sommano tutti i prelievi supplementari dovuti dagli allevatori italiani dal 1984 ad oggi si giunge alla sbalorditiva cifra di 4,4 miliardi di euro, una parte dei quali (1,87 miliardi relativi al periodo 1984-1996) (3) pagati dai contribuenti italiani in deroga alle disposizioni comunitarie, gli altri pagati dagli allevatori, oggetto di contenzioso presso i tribunali amministrativi oppure ancora semplicemente da “riscuotere” da parte di Agea o degli Organismi Pagatori regionali deputati a prelevare il dovuto.
 
Qual è la ragione di questa peculiarità italiana?
Dal 1984 al 1992, come ha notato la Corte dei Conti, il problema principale è stato la sostanziale disapplicazione della regolamentazione comunitaria: si è trattato di “un mancato adeguamento alla normativa comunitaria politicamente asseverato dal Governo Italiano e motivato in sede comunitaria facendo leva sulla complessità del sistema che, in Italia, aveva in effetti evidenziato ed accentuato carenze, difficoltà e disomogeneità nella gestione amministrativa del settore” (4).
Per quanto riguarda gli anni successivi, sempre citando la Corte dei Conti, “comportamenti pragmaticamente dilatori di Governo e Parlamento hanno in effetti accompagnato, asseverato, fornito spesso nuova linfa alle aspettative dei produttori”. In altre parole, chi fino ad allora aveva superato le quote ha ritenuto di potere continuare a farlo.

CHI DEVE PAGARE
I regolamenti comunitari sono sempre stati molto chiari in proposito: il prelievo supplementare é una misura che persegue l’obiettivo di contenere la produzione e ristabilire l’equilibrio tra domanda ed offerta e deve, dunque, essere pagato dagli allevatori (5).
Qualsiasi tipo di accollo da parte dello Stato dell’onere del prelievo si configura come sostanziale elusione non solo della regolamentazione comunitaria, ma altresì di quegli obiettivi (condivisibili o meno) di politica economica della Pac.
 
Il fatto che all’Italia furono assegnate quote inferiori al consumo interno doveva ovviamente essere oggetto di contrattazione in ambito comunitario, ma non puó in alcun modo giustificare il superamento delle produzioni consentite.
Ogni pagamento da parte delle amministrazioni pubbliche é considerato un aiuto di Stato e comporta l’apertura di una procedura d’infrazione, con le conseguenti salatissime multe a carico dei contribuenti.
Peraltro, una prospettiva del genere sarebbe uno schiaffo a tutti quei produttori onesti che hanno comprato le quote e rispettato i limiti ed a quelli che hanno deciso di pagare i prelievi supplementari, con o senza rateizzazione (6).

COSA RISCHIA L’ITALIA
La difesa del migliaio di “irriducibili” trasgressori da parte dello Stato sarebbe una strategia di politica agricola senza senso che aggiungerebbe all’inefficienza dell’intero sistema comunitario ulteriore inefficienza a livello di contesto nazionale con conseguenze paradossali.
In primo luogo, si creerebbe una situazione di aiuto di Stato a vantaggio non già dell’intera categoria, ma solo di uno sparuto gruppo di imprenditori che non hanno rispettato le regole.
In secondo luogo, si scaricherebbe di nuovo il peso di questo intervento sui contribuenti, che oltre a pagare prezzi dei prodotti lattiero-caseari al di sopra dei livelli concorrenziali dovrebbero remunerare in prima persona il costo di comportamenti fraudolenti.
 
La politica, come spesso accade in Italia, continuerebbe a far pagare le proprie colpe, connesse a mancati interventi di rinegoziazione comunitaria delle quote latte, ai consumatori che, a differenza dei produttori, rappresentando un gruppo di interessi eterogeneo, non riescono a coalizzarsi in lobby. Il danno che si creerebbe sarebbe, inoltre, riferibile anche a quegli allevatori, la stragrande maggioranza, che in questi anni hanno speso ingenti somme, si stimano circa 1,85 miliardi di euro (dati Coldiretti), per acquisto o affitto di quote, sacrificando così parte degli investimenti all’interno dell’azienda.
In definitiva quello delle quote latte appare un doppio pasticcio: un meccanismo europeo che chiaramente danneggia i consumatori ed i produttori più efficienti, su cui si innesta un sistema nazionale che ha favorito uno sparuto gruppo di imprenditori inefficienti o disonesti a danno dell’intera collettività.

Tabella 1: prelievi supplementari da pagare e pagati (milioni di euro)
Totale da pagare Pagamenti  
4.400 1.870 Pagati dallo stato italiano (periodo 1984-1996)
  220 Pagati direttamente dagli allevatori senza rateizzazione
  350 Rateizzati con legge Alemanno (interessi 0% in 14 anni)
  730 Rateizzazione potenziale con legge Zaia (interessi al 7% in 30 anni)
  980 Presso i tribunali per contenziosi non ancora chiusi
  250 Persi per incuria di chi doveva riscuotere, o per fallimenti o decessi
 
Fonte: Coldiretti. Dati espressi in milioni di euro. Gli 1,87 miliardi ed i 220 milioni di euro sono stati già pagati rispettivamente dallo Stato italiano e dagli allevatori, mentre dei 350 milioni rateizzati in 14 anni ne sono stati pagati in sei anni poco meno della metà, in linea dunque con il piano di rimborso. I 730 milioni rateizzabili in base alla legge Zaia sono in attesa di essere pagati, mentre i 980 milioni oggetto di contenzioso devono attendere l’esito dei processi nei tribunali.

Note:
(1) É stato altresì istituito un meccanismo di compensazione che consente di sfruttare i quantitativi non utilizzati da taluni produttori per ridurre, ovvero eliminare del tutto, le sanzioni a carico dei produttori che viceversa risultano aver prodotto in più rispetto alla propria quota; il tutto comunque nell’ambito del quantitativo nazionale di riferimento. Le sanzioni ai trasgressori non sono dunque l’obiettivo ultimo, bensì uno strumento per evitare che un paese nel suo insieme produca piú di quanto gli sia consentito.

(2) Nel 2008 la UE ha deciso di aumentare le quote dei vari paesi dell’1% all’anno per cinque anni fino al 2015. Con un provvedimento ad hoc l’Italia ha potuto usufruire in una volta sola dell’aumento del 5% della propria quota, sicché il 2009-2010 è stato il primo anno in cui l’Italia non ha superato il limite assegnatole.

(3) La Corte dei Conti, con sentenza n. 11 del 15 novembre 1996, ha poi osservato che effettivamente i Ministri convenuti in giudizio avevano volontariamente dato disposizioni nel senso di non osservare la normativa comunitaria. La Relazione Speciale 3/2002 della Corte dei Conti Ă© consultabile sul sito internet

http://www.corteconti.it/export/sites/portalecdc/_documenti/controllo/sez_contr_affari_com_internazionali/2002/Delibera_n._5_2002_e_relazione.pdf.

(4) Pag. 6 della Relazione. Lo Stato italiano é stato, peró, condannato dalla Corte di Giustizia Europea a pagare le “multe” non potendo uno Stato membro addurre come motivazione le difficoltá amministrative interne.

(5) “Il prelievo è interamente ripartito ... tra i produttori che hanno contribuito a ciascun superamento dei quantitativi di riferimento nazionali ... I produttori sono debitori verso lo Stato membro del pagamento del contributo al prelievo dovuto”, art. 4 del Reg. (CE) 1788/2003. Ogni Stato ha il compito di riscuotere annualmente i tributi dalle aziende e versarli all’UE. Se non lo fa entro un certo termine, l’UE trattiene il dovuto dai contributi all’agricoltura che annualmente corrisponde agli Stati membri. Dal momento che gli allevatori italiani hanno accumulato un debito cronico con lo Stato italiano, ne consegue da anni i nostri contributi comunitari all’agricoltura vengono corrisposti in misura ridotta.

(6) Più di 15.000 produttori hanno beneficiato della legge 119/2003 dell’allora Ministro dell’Agricoltura Gianni Alemanno per rateizzare i pagamenti spalmando i prelievi su 14 anni ad interessi zero, per un totale di 350 milioni di euro. Altri allevatori hanno invece deciso di pagare subito tutto senza rateizzazione, per un totale di 220 milioni di euro. Si veda Tabella 1.

 



Commenti:
ID3322 - 06/08/2010 13:45:56 - (Gino49) - Forse non ho capito un'H

Non mi è mai stata molto chiara la questione delle quote latte e sono convinto che a capirci poco non ero il solo, o forse ho capito male la situazione che comunque conserva una discreta ambiguità.Quel che mi pare di aver capito è che all'inizio della faccenda era stato chiesto ai produttori di latte di dichiarare la quantità di latte che producevano o che prevedevano di produrre nella loro azienda, al chè nel timore di scoprire il lato reddituale i più dichiaravano il meno possibile, pur sapendo che avrebbero sforato anche in modo abbondante.Credo che sulla base di questa situazione sia nato il contenzioso che poi conosciamo. Sarò riconoscente a chi mi vorrà illuminare, grazie.

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