Diossina, chiesto il rinvio a giudizio di due bresciani

La procura di Trento ha chiesto il rinvio a giudizio per tutte e nove le persone coinvolte nell'inchiesta sulle presunte emissioni di diossina fuori norma della Acciaieria Valsugana.
Fra gli indagati figurano i vertici della società siderurgica Leali che conta unità produttive a Odolo e Roè Volciano (del tutto estranee alla vicenda giudiziaria), oltre appunto allo stabilimento consociato in Trentino. Il quadro di accuse è quello immortalato a giugno nell'avviso di conclusione delle indagini firmato dal pm Alessandra Liverani. Nessuno degli indagati del resto, pure avendone la possibilità, ha scelto di farsi interrogare per chiarire la propria posizione o di presentare una memoria difensiva. Ora, dunque, sarà un giudice a dovere riscontrare in sede di udienza preliminare se le accuse della procura siano fondate.
Nel mirino dell’inchiesta sono finiti l'ex direttore dello stabilimento Emilio Spandre, gli amministratori e proprietari Pierluigi e Dario Leali, l'ingegner Matteo Bortolotti che nel 2004 venne nominato responsabile del Servizio di prevenzione rischi dell'Acciaieria. Fra gli indagati figura anche Alessandro Trentin nella sua qualità di responsabile di produzione dello stesso stabilimento.

L’inchiesta ha coinvolto anche quattro tecnici del laboratorio Chemiricerche di Mazzano che sempre secondo l'accusa, si sarebbero prestati ad «aggiustare» i dati delle analisi. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti fra il 2004 e il 2008 dallo stabilimento sarebbero uscite emissioni diffuse non autorizzate. L'atto d'accusa della procura è certamente pesante, anche se l'agguerrito collegio di difensori è deciso a smontarlo, affrontando anche un dibattimento pubblico se necessario.
Pierluigi e Dario Leali sono indagati per una specifica ipotesi di reato perchè «con omissioni, anche dolose», di comportamenti che secondo il pm erano doverosi, non avrebbero preso i provvedimenti necessari per ridurre la diffusione di emissione tossiche in fabbrica. «I dipendenti - si legge fra l’altro nel capo d’imputazione - venivano a trovarsi frequentemente esposti a notevoli emissioni di fumi, gas e polveri che si diffondevano nel capannone prima di uscire all’esterno. Polveri, fumi e gas, generati dai processi di fusione del rottame contenevano - scrive il pm - sostanze nocive per la salute umana come ad esempio diossine, idrocarburi policiclici aromatici, policlorobifenili, monossido di carbonio, ossidi di azoto e composti organici volatili». Dal 2009, grazie al nuovo impianto di captazione il problema è stato risolto: le analisi del perito del tribunale avrebbero riscontrato sui fumi diossine dieci volte inferiori alla media.

R. PR. da Bresciaoggi

Vedi anche