04 Aprile 2007, 00.00
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Stabilimento siderurgico di Lovere

Lucchini si riappropria di una azienda storica

di Giancarlo Marchesi

Con l’acquisizione della Sidermeccanica di Lovere, Luigi Lucchini non ha ricomprato solo un pezzo del suo gruppo siderurgico, ma ha riportato in mani bresciane un’antica e gloriosa realtà produttiva appartenuta alla famiglia Gregorini.

Con l’acquisizione della Sidermeccanica di Lovere, avvenuta nei giorni scorsi, Luigi Lucchini non ha ricomprato solo un pezzo del suo gruppo siderurgico, ma ha riportato in mani bresciane un’antica e gloriosa realtà produttiva appartenuta alla famiglia Gregorini, che nel 1856 si trasferì a Lovere da Vezza d’Olio.


Nel corso dell’Ottocento la famiglia Gregorini di Vezza d'Oglio seppe affermarsi sulle altre realtà produttive camune. A quel tempo, le attività di questa nascente dinastia imprenditoriale erano gestite da Giovanni Gregorini. Le origini di questo operatore economico erano legate alle tradizionali attività della valle: la lavorazione del ferro ed il piccolo commercio. Suo padre, infatti, possedeva alcune fucine ed era proprietario di un'osteria.

Fin dai suoi esordi Giovanni Gregorini aveva dimostrato una capacità imprenditoriale certamente non comune alla massa degli artigiani valligiani. Già nel corso degli anni Trenta, Gregorini dette numerose prove di queste sue capacità: a cominciare dal 1832, quando si aggiudicò l'affitto del forno di Paisco, battendo Domenico Franchini; per proseguire poi nel 1837, quando entrò nella società del forno di Allione, acquisendo la quota appartenuta a Pietro Franzoni; ed infine, l'anno successivo, quando si insinuò nel procedimento concorsuale contro lo stesso Franzoni per la distribuzione di tredici boschi nel comune di Sellero.

Queste acquisizioni non erano avvenute casualmente, esse si inserivano all'interno di un disegno imprenditoriale ben preciso, che intendeva perseguire una vera e propria strategia organizzativo-produttiva che porterà i Gregorini ad inglobare sotto una unica direzione - la loro - più fasi del ciclo di lavorazione del ferro; un ciclo che, fino ad allora, era compiuto da numerosissimi operatori ed era diffuso su tutto il territorio valligiano.

Se a Giovanni Gregorini va sicuramente attribuito il merito di aver intuito l'importanza di una direzione accentrata nel processo siderurgico per meglio coordinare le varie fasi del ciclo produttivo, a suo figlio Andrea deve essere riconosciuta la capacità imprenditoriale d'aver saputo tradurre l'intuizione paterna in realtà.

Il giovane Gregorini, infatti, dopo aver sfruttato favorevolmente la positiva congiuntura degli anni Quaranta, acquistò nel 1856 la Fabbrica di falci, presso Castro, nel comune di Lovere, già appartenuta alla Repubblica veneta e al Governo Italico.

Con lo stabilimento di Lovere, Andrea Gregorini si riprometteva di perseguire l'obiettivo di concentrare in un unico luogo tutte le diverse fasi di lavorazione del ferro. Ma l'imprenditore camuno non si limitò solo a mettere in pratica il disegno produttivo del padre; l'attività di Andrea Gregorini si caratterizzò anche per la continua innovazione e i continui perfezionamenti che lo stesso apportò alla produzione: negli anni Cinquanta, tentò con buon esito di alimentare i forni fusori con il gas di torba e, sempre in quel periodo, introdusse, tra i primi in Italia, il forno Siemens.

L'azienda della famiglia Gregorini, nel 1858, alla vigilia dell'annessione della Lombardia al Piemonte, dava lavoro, tra impiegati, maestranze, sorveglianti, operai, garzoni, a 500 persone, producendo 25.000 pesi di ferro battuto e cilindrato, 7.500 pesi di acciaio per molla da carrozza, consumando 62.500 quintali di ferro greggio e 12.000 metri cubi di carbone di legna.

Anche solo sulla base di questi pochi dati statistici, ci si può rendere facilmente conto che l'esperienza imprenditoriale dei Gregorini non poteva certo essere assimilata a quella di qualsiasi altro operatore artigianale della valle: la loro era, a tutti gli effetti, la prima grande esperienza di tipo industriale nell'area.

L'operato di questa dinastia imprenditoriale condizionò il destino economico della valle: già dai primi anni Cinquanta dell'Ottocento vi fu, nell'ambiente camuno, l'emergere dei primi segni di una trasformazione che sancirà il passaggio dalla tradizionale siderurgia di «montagna» ad una siderurgia di «pianura» sganciata completamente dai boschi, dalle miniere, dai corsi d'acqua, a contatto con le grandi arterie di comunicazione.


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