Un Santo Stefano speciale

Gentile direttore,

le affido e confido un pensiero fugace, ma sincero e profondamente sentito, dopo aver trascorso una giornata di Santo Stefano speciale. Del tutto speciale. Una giornata che ha inizio con l’invito a pranzo degli amici dell’Associazione “S. Minelli” di Prevalle, ospiti: i “barboni” della San Vincenzo.

Un’esperienza che tra le feste natalizie potrebbe starci tutta. In fondo un po’ di “buon solidarismo” ad interrompere le sagre di regali e di pranzi ipercalorici può essere un’esperienza interessante. Come tante altre, forse. Anzi, può essere un’occasione pedagogica per i figli, una di quelle “esperienze forti” che possono sempre essere utili a farli crescere.
E invece no.

L’esperienza è di quelle che arricchiscono senza quasi farti accorgere. Primo perché trascorre in un attimo, e poi perché mi precipita in un universo che è ben conosciuto e praticato, ma che ad ogni contatto diretto provoca una scossa interiore impossibile da ignorare.

Ma prima di parlare di loro, dei “barboni”, vorrei raccontarle dei volontari della “Minelli”, associazione “chiacchierata”, denigrata e osteggiata, ma che le opere, i servizi, la Carità vera e sacrosanta, la fa tutti i giorni dell’anno, non solo sotto le feste comandate. Sì, perché sotto Natale per sentirsi un po’ più buoni il pranzo con i poveri diavoli lo possono fare in tanti, ma poi se i pranzi sono una volta al mese, durante tutte le domeniche del mese, se i pacchi per i barboni che alla San Vincenzo non ci vanno e che non alzano la testa dai marciapiedi e dai sottopassi di periferia, ecco, lì tutto si trasforma in un peso eccessivo. A Natale sì, ma che basti...

Io ho potuto osservare sguardi sereni e cortesi di volontari che sono abituati a condividere i pranzi con i barboni, così come con gli anziani e con chi è ai margini delle nostre comunità per mille motivi. Sguardi che si incrociavano con cordialità sincera, senza falsità o ipocrisie con quelli timidi delle donne di Casa Ozanam, il reparto femminile della San Vincenzo, o con quelli degli uomini (44 in tutto, 11 stranieri e gli altri tutti italiani, anzi tutti bresciani...) allegri eppure velati da ombre impenetrabili.

Il coro dei bambini, le canzoni degli adulti, l’allegria di un pomeriggio basta solo ad alleggerire il fardello di storie senza tempo, ma arricchisce tutti.

I miei figli, abituati ad ascoltare sin da piccoli il racconto della storia del “Barbone della fornace”, - la storia di un personaggio cattivo, nemico dell’umanità, alto e con la folta barba, che improvvisamente, mentre precipita nella sua fornace di mattoni, incontra sulla sua strada la bontà ingenua e gratuita e diventa un uomo di cuore, un santo senza riserve – mi chiedevano: “come saranno i barboni?”. “Sono come noi, persone che hanno sofferto e continuano a soffrire”, la risposta.

Ho compreso che era una risposta sbagliata, affrettata. Sono all’incontrario del “Barbone della fornace”, persone che non hanno incontrato la bontà gratuita e ne sono rimasti scottati nella fornace della società. E Davidino, due anni appena fatti, ripete i passi salienti della storia: “il Barbone, gli angioletti, tirano su dalla ciminiera. Il Barbone diventa buono”. I due figli grandi (13 e 11 anni) si affrettano a chiedere: “simpatici questi della San Vincenzo. Andiamo ancora a pranzo con loro?”.

Noi, intanto, Santo Stefano lo abbiamo trascorso con tanti angioletti della “Minelli” i quali, nel silenzio e nell’indifferenza, senza chiedere un cenno di ringraziamento a nessuno, fanno conoscere la bontà gratuita e la Carità senza pretese.

Caro direttore, sono grato dell’attenzione, ma ancora di più sono grato agli Amici della San Vincenzo e agli Angeli della “S. Minelli”.

Paolo Catterina e famiglia

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