07 Ottobre 2009, 07.00
Prevalle Valsabbia
Piano casa

La parola magica è “sostituzione”

Una riflessione sul Piano casa regionale dei consiglieri comunali del Pd di Prevalle Paola Ballerini e Paolo Catterina

La “parola magica” è “sostituzione”. L’oggetto è il Piano Casa della Regione Lombardia. Un provvedimento regionale licenziato lo scorso mese di luglio che vorrebbe conciliare l’obiettivo di dare una poderosa spinta all’economia in un settore strategico come l’edilizia con la riqualificazione del patrimonio esistente toccando anche concetti che fanno tendenza come efficienza e certificazione energetica. Peccato che tra le pieghe di questa legge regionale che impone una valutazione ed una decisione rapida ai Comuni (il termine è il 15 ottobre prossimo) si celino insidie, rischi e vere e proprie bombe speculative per il territorio e per le casse stesse delle amministrazioni locali. Insidie non meno gravi per quegli amministratori che sottovalutassero o non comprendessero compitamente le implicazioni derivanti da un provvedimento molto tecnico ma anche opportunisticamente “politico”: infatti, la legge regionale è apertamente in contrasto con l’idea guida di “governare il territorio”, mette in pericolo la qualità e la vivibilità dei luoghi e può rivelarsi disastrosa anche per le tasche dei comuni.

Fare qualcosa di “grosso” per favorire la ripresa dai morsi della crisi, senza distogliere lo sguardo dalle lusinghe della certificazione energetica degli edifici, dello svecchiamento del patrimonio edilizio. Il tutto condito con qualche spizzico del magico termine di “salvaguardia” e dell’agire in ossequio alla sacra idea dei caratteri identitari del territorio. Sono queste le finalità dichiarate nella Legge Regionale n. 13 del 16 luglio 2009, meglio nota come Piano Casa della Lombardia, a seguito dell’Accordo Governo-Regioni dello scorso aprile.

Già, perchè nell’articolo 1, con uno slancio tecnico-giuridico che si fa fatica a non notare, si sono volute – o dovute - giustificare e precisare le finalità della legge. Sono, evidentemente, finiti i tempi in cui era il contenuto, con le sue statuizioni, a definire, in modo sufficiente e necessario, l’oggetto di un provvedimento normativo. Oggi, invece, si deve, a scanso di equivoci, precisare di cosa tratti una legge. E bisogna anche puntualizzare che questa promuove la sua azione “nel rispetto dei caratteri identitari del territorio”. Poco importa se per quei comuni che la applicano questa consente di derogare dagli strumenti urbanistici (vigenti o adottati) e dai regolamenti edilizi e dà la possibilità anche di intervenire nei centri storici, nelle aree agricole e persino di operare in barba ai piani di coordinamento territoriali dei parchi regionali.

Interventi edilizi anche di consistenza rilevante “possono essere realizzati in assenza di piano urbanistico attuativo eventualmente previsto, o in deroga a questo se vigente o adottato”. Tutto questo passando attraverso la “porta magica” del concetto edilizio della “sostituzione”, un termine che sottende più concretamente i passaggi di “demolizione” e “ricostruzione” e, in assenza di ulteriori precisazioni o indicazioni, forse anche quello di “demolizione e ricostruzione non necessariamente nello stesso luogo”?

Vi sono state proteste vibrate a questo provvedimento, votato dai soli schieramenti dell’asse Centrodestra-Lega in Consiglio Regionale, tra cui è significativo quello del Fai (Fondo per l’Ambiente Italiano), che non è certo un sodalizio di verdi ed ecologisti, che ha scritto a quasi duemila sindaci lombardi invocando “la necessità di escludere completamente da nuovi interventi edilizi tutte le aree dei centri storici, quelle di particolare valore paesaggistico e ambientale, le zone agricole e i parchi regionali” e lamentando i tempi stretti per assumere una decisione che ha risvolti dirompenti.

In effetti non sono molti gli amministratori – e nemmeno i politici – che sono intervenuti pubblicamente per cercare di offrire una chiave di lettura obiettiva a questa legge regionale che a furia di “svecchiare, sostituire, consentire di ampliare, incentivare il risparmio energetico, far leva sul volano dell’edilizia per vincere la crisi” rischia di dare il via ad imponenti operazioni edilizie.

Salvaguardando gli obiettivi del provvedimento – dare un impulso immediato al settore e operare per rinnovare il patrimonio edilizio – si poteva licenziare un provvedimento modificato su alcuni punti essenziali: il conferimento di maggiori poteri ai comuni, l’esclusione dell’applicazione nei centri storici, la limitazione dell’applicabilità della norma nei parchi e l’impossibilità di cambiare destinazione d’uso agli edifici produttivi in zone residenziali. Ma questa era una posizione troppo vicina alle proposte del PD regionale lombardo.

Un’ulteriore considerazione, prima di passare a qualche esempio concreto, merita il battage che accompagna questo provvedimento nelle sedi dove viene presentato e pubblicizzato come il veicolo di creare opportunità di nuovo lavoro, di superare vincoli burocratici per poter operare ampliamenti edilizi e riconversioni fino ad ora impedite. Si parla di migliaia di posti di lavoro e miliardi che potranno venire dall’attuazione della legge in virtù della possibilità di intervenire con aumenti dei volumi fino al 35% a fronte di contestuali interventi di contenimento energetico. Si precisa che tutto ciò avverrà senza ulteriore consumo di territorio perché la legge è rivolta a sostituire e convertire volumi esistenti.

Tutto vero, se si osserva attraverso la lente degli operatori immobiliari ed edilizi. Ma è una seria e pericolosa insidia per chi deve garantire la vivibilità del territorio ed è un provvedimento poco utile per i piccoli proprietari e le famiglie Proviamo a rileggere questi rilievi attraverso la lente di un amministratore che abbia a cuore l’integrità e la salvaguardia oltre allo sviluppo del proprio territorio.

Riguardo agli ampliamenti: quali e quanti potranno essere i piccoli proprietari che saranno invogliati a sfruttare il 30% o 35% di ampliamento a fronte di costosi investimenti sul contenimento energetico? Occorre aggiungere che sarà necessario fare i conti con il codice civile e con i diritti di terzi per poter usufruire di questi ampliamenti e dunque non sarà proprio sempre e comunque cosa semplice e vantaggiosa. E in un periodo che presenta prospettive incerte per tutti, investimenti di questo genere non potranno essere facilmente affrontati.

In compenso grandi complessi produttivi dismessi o in via di dismissione, gli innumerevoli capannoncini e officinette che punteggiano i paesi soprattutto in zone parzialmente o totalmente residenziali potranno essere riconvertiti – o meglio sostituiti, con quel concetto esteso e debordante di cui si è detto – senza necessità di rispettare piani attuativi – cioè senza un controllo e un’azione di pianificazione dei comuni – ma soprattutto senza la cessione delle cosiddette aree standard (parcheggi, aree verdi e quant’altro). Gli sforzi che molte amministrazioni comunali hanno prestato per cercare di operare delle ricognizioni di questi luoghi sui quali governare la riconversione badando alla vivibilità e ad una giusta compensazione urbanistica oltre ad un equilibrio del peso insediativo sono spazzati via in un solo colpo. : La possibilità di demolire e ricostruire come scrive la legge “in assenza di piano urbanistico attuativo eventualmente previsto, o in deroga a questo se vigente o adottato” è un provvedimento di cui non si capisce la ragione, se non pensando ad un premio a grani operatori.investitori-speculatori.

Tutto questo, sia chiaro, nel “rispetto dei caratteri identitari” del territorio, come tengono a precisare per non tralasciare un esprit de finesse padano-urbanistico.

Ancora un’ultima riflessione, altre le tralascio nella convinzione di sollecitare attenzione e consapevolezza verso questo importante passaggio per tutti i comuni lombardi, meritano le facoltà di operare nelle aree agricole. Può sembrare un paradosso ma è una realtà diffusa e ormai inarrestabile: la concessione di opportunità per la riconversione residenziale in aree agricole, anche a soggetti non imprenditori agricoli, è un grande boomerang per le vere imprese agricole che non avranno più spazi sufficienti – e zone di rispetto adeguate – per i loro piani di adeguamento o di ampliamento, segnando di fatto una pericolosissima commistione foriera solo di conflitti e disagi, oltre che di stravolgimento dell’ambiente rurale.

L’esame della legge, venduta come panacea anticrisi, spinge a rivolgere un appello serio e accorato a tutti gli amministratori comunali perché vi concentrino energie ed impegno per confrontarlo con la propria realtà territoriale nel modo più approfondito possibile. Subire la legge regionale acriticamente sarebbe un suicidio per il governo del territorio. Negli ultimi giorni utili per deliberare l’applicazione o l’esclusione di tutto o parte del territorio (l’ormai imminente 15 ottobre) ci si augura venga avviato il dibattito per rendere tutti consapevoli che la legge regionale contiene più insidie che opportunità.

Paola Ballerini
Paolo Catterina
Consiglieri Comunale
Circolo PD Prevalle



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