17 Settembre 2009, 10.10
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Lavoro

E' piena crisi occupazionale

Anche ieri è arrivato l’annuncio della chiusura di una fabbrica bresciana. Ormai capita ogni giorno. In crisi soprattutto il comparto della meccanica.

Si tratta della Borromini, piccola impresa con 22 dipendenti che fa parte del gruppo Finvetro di Verona e produce stampi. Negli ultimi giorni abbiamo così assistito a una serie di crisi aziendali, con relative emergenze occupazionali.
Prima l’annuncio del trasferimento delle attività della Mac dal sito Iveco di via Volturno allo stabilimento di Chivasso (Torino), con 154 posti di lavoro a rischio. Poi lo scoppio della crisi della Aluminium Trevisan Cometal, che rischia la liquidazione (gli occupati a Rodengo Saiano sono 133).
Infine, martedì, l’annuncio shock della direzione Federal Mogul di Desenzano (197 lavoratori): «Chiudiamo la fabbrica entro fine anno».
Sullo sfondo, inoltre, restano le note vicende dell’Ideal Standard di via Milano (120 dipendenti), a rischio chiusura definitiva, e i tentativi di salvare il Pastificio Pagani di Rovato, la Europress di Sarezzo e la Gnutti Sebastiano di Villa Carcina.
 
La crisi non è finita
Ma queste vicende, di cui quotidianamente si occupano i giornali, rischiano di essere solo la punta di un iceberg.
«In questa fase - spiega Laura Valgiovio, segretario generale della Fim Cisl - stanno soffrendo moltissimo le piccole imprese. Inoltre, anche se la recessione fosse davvero alle spalle, è certo appena iniziata la fase di riorganizzazione che generalmente segue i periodi di crisi: c’è il rischio che le difficoltà dei piccoli si estendano sempre di più alle grandi imprese».
 
Secondo Valgiovio, peraltro, «a Brescia non sono state messe in atto politiche di rilancio del settore metalmeccanico, attraverso l’innovazione». Proprio le aziende meccaniche, sottolinea Michela Spera, numero uno della Fiom bresciana, «stanno pagando pesantemente le conseguenze del perdurare della crisi, che certo non è finita: la chiusura delle fabbriche lo sta dimostrando, ogni giorno».
In questa fase, la Fiom «è determinata a chiedere il blocco dei licenziamenti e a mettere in campo tutte le iniziative per contrastarli».
Secondo Spera, «è in atto una riorganizzazione produttiva che scarica sui lavoratori le conseguenze della crisi, e questo è inaccettabile».
 
Asfissia finanziaria
Il segretario generale della Uilm, Martino Amadio, mette l’accento su un’altra emergenza: «Numerose imprese - spiega - sono alle prese con una situazione di asfissia finanziaria che le sta mettendo in ginocchio. Non tutte riusciranno a resistere».
Ecco perché è lecito aspettarsi altre chiusure di fabbriche nei prossimi mesi.
Anche Alessandro Conti, che guida a Brescia il sindacato Fismic, afferma: «I segnali che abbiamo non sono ancora positivi, perché gli effetti del rallentamento produttivo devono ancora farsi sentire completamente. È necessario mettere in campo tutti gli strumenti per ridurre le conseguenze di questa situazione, salvaguardando coloro che perdono il lavoro, e cercando di valutare possibili alternative alla chiusura delle fabbriche».
 
Borromini e Mac
Ma ieri è arrivata l’ennesima cattiva notizia. La direzione della Borromini di Molinetto di Mazzano ha intenzione di aprire per i 22 dipendenti la procedura di mobilità per chiusura aziendale.
Il sindacato (Fim) ha proposto il ricorso alla cassa integrazione straordinaria, con incentivi all’esodo, per crisi, rifiutando il progetto di interrompere la produzione di stampi. Ieri si sono svolte quattro ore di sciopero e sono iniziate le manifestazioni di protesta.
In Associazione industriale, intanto, si sono incontrati ieri i rappresentanti sindacali e i vertici della Mac (gruppo Magnetto).
 
Il sindacato, ancora una volta, ha cercato di indirizzare l’azienda alla ricerca di una soluzione alternativa al trasferimento produttivo.
La risposta, secondo quanto si apprende, è stata negativa, ma resta aperto il tavolo di discussione, con qualche speranza in più. Dal confronto sarebbe emersa la proposta di modificare la motivazione alla base della richiesta di cassa straordinaria: non più cessata attività, ma crisi aziendale.
In questo modo, la chiusura della fabbrica sarebbe valutata in una fase successiva, analizzando anche l’andamento produttivo in Iveco. Ma per ora si tratta solo di un’ipotesi.
Per caldeggiare questa soluzione, peraltro, il sindacato ritiene che i tempi siano maturi per coinvolgere le istituzioni, a livello comunale e provinciale.

Rothe Erde e Gnutti Sebastiano
Si è concluso con un mancato accordo anche il tavolo sindacale convocato alla Rothe Erde di Visano, azienda specializzata nella produzione di cuscinetti volventi che ha dichiarato 55 esuberi su 250 occupati.
Fim e Uilm hanno proposto all’azienda un accordo per l’apertura di una procedura di mobilità su base volontaria, mentre la Fiom osteggia questa ipotesi.
La direzione aziendale, in ogni caso, ha respinto anche la proposta di Fim e Uilm, poiché intende ridurre gli occupati in misura definita (cosa che non avverrebbe se passasse l’idea della volontarietà).
Sindacato e azienda saranno convocati in Regione nei prossimi giorni: in caso di mancato accordo, la direzione della Rothe Erde (gruppo Thyssen) procederà con i licenziamenti. Mercoledì si svolgeranno le assemblee dei lavoratori.
 
Incontro sindacale ieri anche per la Gnutti Sebastiano di Villa Carcina (i 94 dipendenti sono in cassa integrazione straordinaria).
Il liquidatore ha illustrato la proposta della cordata di imprenditori interessata ad affittare e successivamente rilevare la società (i nomi restano ancora riservati).
Un nuovo incontro, finalizzato al raggiungimento di un accordo con i rappresentanti dei lavoratori, è previsto per martedì 22 settembre.
 
Guido Lombardi - dal Giornale di Brescia


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