27 Febbraio 2024, 06.43
Pillole di Psicologia

Ansia di crescere

di Marzia Sellini

Secondo una ricerca  recente, uno studente bresciano su tre, delle scuole superiori, ha utilizzato medicinali o sostanze per combattere l’ansia

 
Il campione del questionario, di tale ricerca, è piuttosto limitato ma fornisce comunque alcuni spunti di riflessione interessanti. Innanzitutto, come mai oggi si affrontano cosi alcuni passaggi della vita, che vien da pensare, siano normali?  

Rispondo immediatamente, andando al dunque, e poi tento di aprire un poco la visuale:

1) Innanzitutto perché si ritiene che certe emozioni, giudicate negative, siano da eliminare.

2) Dopodiché perché oggi sono a disposizione, in modo facile ed immediato alcuni prodotti, li troviamo disseminati ovunque e la pubblicità ha contribuito, non poco, al loro acquisto.

3) E poi perché sono diffuse teorie che riducono le emozioni a mere faccende organiche e portano a credere che alle emozioni si possa rimediare, facilmente e velocemente, in quel modo. 

Sempre in quella ricerca leggiamo anche che gli stati d’animo, ritenuti negativi, sembrano essere cresciuti, in modo significativo, con la pandemia: 4 studenti su 10 lamentano sensazioni d’ansia proprio in seguito all’esperienza del Covid (40,6%), alcuni vedono peggiorate le proprie interazioni sociali (39,1%), le condizioni di salute mentale (34,8%) e la visione del futuro (34,1%).

Quel che stupisce invece, è come mai non sia ritenuta grande fonte d’ansia la precarietà, cioè il cambiare spesso lavoro o la temporaneità del lavoro. Perché?

Per capire certe risposte fornite dai ragazzi dobbiamo contestualizzare storicamente questi accadimenti e riconoscere i loro bisogni, le loro esigenze, perché i ragazzi di oggi non sono gli stessi che eravamo noi alla loro età. Interroghiamo quindi i diversi saperi.

La prospettiva storica
.
Nella Vienna del 1929, in epoca moderna, Sigmund Freud, scriveva la sua opera nota come “Il disagio della civiltà”. Il messaggio di quest’opera, in modo sintetico, era questo: “Nello scambio qualcosa si guadagna e qualcosa irrimediabilmente va perduto.”

La modernità aveva a che fare coi concetti di bellezza, ordine e pulizia, per garantire alla vita collettiva maggiore sicurezza.
Non vi è alcuna predisposizione naturale a fare questo, sono acquisizioni culturali, perciò occorre gestire le proprie pulsioni. Le norme definiscono cosa è la realtà.

La vita civile, ovvero quella normale, propone in un’unica soluzione piaceri e sofferenze, soddisfazione e disagio, obbedienza e ribellione.
Il disagio, in quel periodo, nasceva da un eccesso di ordine che garantiva la sicurezza e la morte della libertà e limitava la felicità individuale.

Dalla metà e la fine del ‘900, si diffonde un ampio movimento ideale, che interessa la filosofia, l’architettura, le arti e la critica e che predilige la libera ricerca individuale di piacere a discapito della sicurezza.
È l’epoca postmoderna. Un grande sociologo, polacco, Bauman la definisce, “società liquida” poiché la libertà individuale regna sovrana.

L’abbiamo sentito anche a San Remo, festival della canzone popolare, i giovani temono la noia e la monotonia, emozioni e sentimenti derivanti dall’osservazione rigida di norme che garantiscono la sicurezza, preferiscono ansia, incubi, insonnia ed agitazione come mezzi per ottenere un po' di felicità.

L’epoca ipermoderna, quella attuale per intenderci, a mio avviso, sta affrontando sfide nuove, come quella di conciliare libertà individuale e sicurezza e riattivare il dialogo tra genitori.

Il sapere sociologico ci fornisce un riduttore di complessità e chiama Generazione Z i ragazzi nati tra gli anni ’90 ed il 2010, li caratterizza anche, essenzialmente per tre punti:

1) l’estesa, diffusa e continua disponibilità ed accesso ad Internet, sin dalla più tenera età, perciò sono chiamati “nativi digitali”; 

2) nascono e crescono in un periodo di recessione economica, anche se a loro non preoccupa granché la cosa;

3) alcuni ambiscono alle Nuove professioni digitali molto richieste nel mercato;

4) nella scuola, la cultura pragmatista americana ha preso il sopravvento, ed il clima è diventato piuttosto competitivo.

Anche in Italia passa l’idea, con i discorsi comuni e condivisi, che alcuni ce la faranno ed altri no.
In America, secondo una recente ricerca, alcuni temono addirittura, di non potersi permettere un’istruzione superiore, anche per il crescente divario di reddito della classe media.

In che senso internet può costituire fonte ed un motivo d’ansia per i ragazzi oggi?
Da un lato diventa facile e veloce, per tutti, accedere a dati ed informazioni, tuttavia, dall’altro non sempre, coloro che non hanno compiuto il percorso d’istruzione ed addestramento della scuola dell’obbligo, sono in grado di capire e comprendere alcuni contenuti, anche perché, ricordiamolo, in Internet scrive chiunque lo desideri e lo possa fare. 

Per comprendere e quindi sapere come agire
, non bastano le informazioni, dunque essere, non solo apparire, non bastano le informazioni, occorre la conoscenza, ovvero è necessario saper creare legami, dotati di senso, tra i diversi concetti, particolari di quello specifico sapere. Dunque, la rapidità ed il maggior utilizzo dei mezzi non coincidono con un sereno utilizzo. 

I ragazzi hanno a che fare, ogni giorno, con una mole di dati che risulta eccessiva e faticosa da gestire, tant’è che tra clinici si inizia a parlare, per gli adulti, d’Information Fatigue Syndrome (IFS). Un ragazzino, l’altro giorno mi dice che su whatsapp riceve più di 200 messaggi al giorno, nella chat di gruppo della classe.
Bello perché in questo modo mantiene i rapporti, è aggiornato, e può mostrare il suo interesse verso gli altri, tuttavia mi dice anche che molte di quelle informazioni sono volte a creare disturbo e distrazione.
In internet inoltre, quando si incappa in un campo in cui non si è esperti, è più complesso valutare la validità, l’attendibilità e la legittimità della fonte. In altre parole, non si conoscono bene gli intenti ed i fini delle comunicazioni.

Dal punto di vista psicologico invece possiamo dire che l’incertezza storica e sociale si traduce spesso anche nell’insicurezza esistenziale, ovvia, entro certi limiti, poiché per esser sicuri di chi si è, ovvero per aver contezza della propria identità, occorre ripetersi molte volte nel modo che si è scoperto esser più adeguato e utile per sé.

Di questo spesso i ragazzi non sono pienamente consapevoli, e talvolta, nemmeno gli adulti che non hanno dimestichezza con alcuni saperi. Accade così che alcuni comportamenti, modi di comunicare e stati d’animo siano attivati e co-costruiti con il contributo degli adulti.
Va detto dunque che l’ansia è sì un’esperienza psicocorporea, dacché sappiamo che la mente ed il corpo non sono separati e permette, entro un certo livelli, l’attivazione, la vigilanza, l’attenzione ed il focus su quel che si sta per fare o si sta facendo, tuttavia, possiamo ritenerla nociva se essa supera d’intensità, durata e manifestazione certi limiti.

La clinica.
Stabilire quando e se il livello d’ansia risulta disfunzionale, è importante. Per questo oltre alla propria autovalutazione, suggerisco di rivolgersi ad un professionista, quando il vissuto mette molto a disagio.
La/il terapeuta insieme a voi formulerà una diagnosi, e valuterà il vostro resoconto essenzialmente tre criteri: intensità, durata e disfunzionalità dell’emozione che state vivendo.

Perché è importante formulare una diagnosi?
Perché, a volte, le autovalutazioni non vanno nella direzione adeguata alla risoluzione del problema e non solo, talvolta, cure errate aumentano il disagio.
Lo voglio ricordare qui: la diagnosi è un’etichetta che viene posta dall’esperto per trovare un momentaneo accordo, è quindi transitiva e serve per lavorare nella stessa direzione.

La terapeuta vi aiuterà dunque a capire che vi sta accadendo, stabilendo per esempio di che tipologia di ansia si tratti e per cosa: ansia da separazione, mutismo selettivo, fobia specifica, fobia sociale, agorafobia, ansia generalizzata, ansia da prestazione o piuttosto di ansia di diventare grandi … Entro un certo paradigma della salute, si lavora in forma promozionale, quindi su aspetti che sono dimensionali, cangianti e mutevoli, non destinati a rimanere fermi.

La terapia.
Come intervenire? Col farmaco? Non credo questa sia la strada preferibile, tuttavia, se indicato da un parere medico, non la si esclude. Quel che possiamo dire è che il farmaco non aiuta a capire che sta accadendo, in quel momento, nella propria vita; nemmeno insegna come fare per risolvere il problema.
Non aumenta la conoscenza il farmaco e nemmeno le proprie personali capacità.  

Marzia Sellini (psicologa, psicoterapeuta) 




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